14/09/2011
In moschea. Un momento della preghiera dei delegati musulmani.
“La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello. Le nazioni cammineranno nella sua luce e i re della terra a lei porteranno il loro splendore”. L’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia, si chiude con l’entrata trionfale di tutti i popoli nella Gerusalemme Celeste, compimento e fine di tutte le cose e superamento, per la potenza salvifica dell’Agnello, di ogni divisione e barriera tra di essi. Può essere letta anche così, caricandola di un significato simbolico estremo, la grande marcia che ieri ha accompagnato a Marienplatz tutti gli oltre trecento delegati delle varie tradizioni religiose mondiali e delle principali confessioni cristiane per vivere insieme, mano nella mano, la conclusione del 25° Incontro mondiale della pace organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio e dall’arcivescovado di Monaco-Frisinga.
Il messaggio finale – che si conclude così: «Non c’è alternativa al dialogo. Il dialogo è un’arma semplice a disposizione di tutti, con il dialogo costruiremo un nuovo decennio e un secolo di pace» – detto così pare solo una grande utopia, un’ingenuità colossale a cui credono solo i bambini. E questo, purtroppo, anche a casa nostra. Non può esserlo, però, perché ne va dei destini del mondo. Questa prospettiva, questa necessità del dialogo che si pone in alternativa secca alla guerra in un bivio che non dà soluzioni terze, è riecheggiata in lungo e in largo nella tre-giorni bavarese. E lo ha fatto persino quando si parlava di economia, quando si prendeva atto da più parti che “globalizzazione”, il fenomeno che caratterizza la grande era che stiamo vivendo, ha come diretta conseguenza che siamo tutti indissolubilmente legati agli altri e che se uno salta, saltiamo tutti. La lezione che ci viene dalla crisi del debito greco sta lì a dircelo.
Il palco in Marienplatz.
Bound to live toghether
Dunque, “bound to live toghether”, “destinati a vivere insieme”, come recita il titolo di questo Incontro mondiale della pace, che porta per il 25° anno consecutivo per le città del nel mondo il testimone dello “Spirito di Assisi”. E uno dei grandi messaggi che vengono da Monaco è che a questo mondo oggi manca un’anima, un surplus e un carico di speranza, soprattutto tra i giovani, per un futuro che la globalizzazione da sola, pur essendo una grande risorsa, non riesce a dare. Si presenta oggi, almeno nelle società occidentali, un rischio concreto di “pensionamento anticipato”, come ha detto lo stesso Andrea Riccardi l'altro ieri.
Ecco, allora, il ruolo storico delle religioni in questa epoca, quello di dare, anzitutto attraverso una testimonianza di dialogo e condivisione reciproca, quel supplemento d’anima che tanto manca. «Siamo più forti e pieni di speranza dopo questi giorni insieme», ha detto nel discorso dal palco Riccardi, «non perché abbiamo risolto i problemi a perché li abbiamo sentiti come famiglia».
Annuncio congiunto: Mustafa Cerić, Gran Muftì di Bosnia-Erzegovina, e il vescovo di Sarajevo Vinko Puljić.
Mano nella mano
Fa certamente impressione vedere, nel corteo che via via si stava formando mentre confluivano insieme per le strade della città tutti i delegati dopo aver pregato nei diversi luoghi secondo la propria tradizione religiosa, un rabbino e un imam, seppur timidamente, camminare mano nella mano. Resta il dubbio, andando tutti a casa, che a Monaco sia andata in onda una trasmissione che non avrà molte repliche nei vari canali nazionali. Un po’ per l’intransigenza araba - molto forte qua e là e sempre alimentata dal mai risolto nodo israelo-palestinese –, un po’ per la paura dei popoli europei di fronte al nuovo che avanza - paura alimentata in quasi tutti i Paesi europei da movimenti politici e di pensiero di marca xenofoba –, un po’ per l’indifferenza e l’individualismo che marca i nostri tempi. Lo stesso incontro di Monaco, pur ampiamente pubblicizzato per le addobbate vie del centro e dai media locali, pare essere scivolata via senza grande partecipazione dei cittadini del pur accogliente capoluogo bavarese.
Arrivederci, dunque, a Sarajevo. Lo annunciano, abbracciandosi sul palco, Mustafa Cerić, Gran Muftì di Bosnia-Erzegovina, e il vescovo della capitale bosniaca Vinko Puljić. L’anno prossimo, in occasione del secondo decennale dall’inizio dell’assedio della città – assedio che durò quasi quattro anni – sarà la capitale bosniaca a ospitare il 26° Incontro della pace di Sant'Egidio.
Stefano Stimamiglio