02/01/2013
Il volumetto sull'Acedia, della collana curata da Enzo Bianchi sui vizi capitali.
A come accidia. O, come la chiama Enzo
Bianchi, acedia, prendendo di peso
il vocabolo greco che significa
“senza cura”. Uno sbadiglio potrebbe
essere la sua icona. I suoi seguaci? I pigri,
quelli che ciondolano in giro tutto il santo
giorno senza combinare niente. Noia, insomma.
Un vizio, se possibile, più pericoloso degli
altri perché in apparenza può sembrare
vago e indefinibile. Esprime un forte disagio
esistenziale. Un tempo l’acedia era “il demone
del mezzogiorno” che tentava nell’ora più
calda i monaci delle prime comunità in Egitto.
Oggi, in Occidente, l’accidia è il demone
notturno che minaccia ciascuno di noi col
suo vuoto, rapporto deformato con lo spazio
Ci sono altri modi di definirla: indifferenza,
disinteresse, apatia. Ma non ci si deve
scherzare: l’acedia può portare diritti all’Inferno.
Dante immerge gli accidiosi nella palude
Stige: neanche si vedono, sotto la melma,
ma se ne intuisce la presenza dal gorgogliare
dell’acqua. Stanno in posizione orizzontale
così come li rappresenta nel suo Inferno William
Blake, poeta e pittore simbolista inglese
dell’Ottocento. San Tommaso d’Aquino, nella
Summa theologiae, sottolinea come l’accidia
possa portare alla paralisi interiore.
Giorgio De Chirico - Due maschere, 1916 (immaine Scala).
Malattia della psiche e dell’anima, l’acedia
rende incapaci di lavorare, concentrarsi, stare
al proprio posto. Fa sentire claustrofobicamente
schiacciati dalle situazioni. E proprio
il nostro modo moderno di vivere, compulsivo
e iperattivo, genera quella insoddisfazione,
sconforto. Un vizio che predilige i solitari.
Ma tutti siamo a rischio, tentati dallo zapping
e ossessivamente tentati dall’ultima email.
Finché il vuoto interiore ci assale. A volte sotto
forma di malinconia. Nel 1514 Albrecht
Dürer rappresenta la sua Melencolia come
una ragazza ripiegata su sé stessa, mentre intorno
spazio, tempo e oggetti la opprimono.
E Hieronymus Bosch, nei Sette peccati capitali,
rappresenta l’accidia nell’immagine di
un borghese, seduto davanti al camino, appoggiato
mollemente il capo a un cuscino,
sonnacchioso, mentre una suora invano lo invita
alla preghiera porgendogli un rosario.
Amedeo Modigliani - Giovane operaio, 1918-1919 (immagine Scala).
Nel Novecento il surrealista Giorgio De
Chirico (Due maschere, 1916), il futurista
Mario Sironi (Solitudine, 1925) e Amedeo
Modigliani (Giovane operaio, 19181919)
esprimono quel disagio e spaesamento interiore
che è una caratteristica del mondo
contemporaneo, quel male di vivere che il
filosofo esistenzialista JeanPaul
Sartre descrive
nel suo romanzo La nausea, del
1932. Carl Gustav Jung, padre della moderna
psicologia analitica, individua l’acedia
come passaggio che caratterizza la crisi
dell’età di mezzo. O della vecchiaia, come ci
mostra Rembrandt nel suo Studio di vecchio.
Per superare l’acedia occorre relativizzare
gli idoli dell’avere e del fare a favore
dell’integrazione del sé con la totalità.
Lo stesso percorso, in termini diversi, propone
la Chiesa indicando nel Paradiso la meta
definitiva della vita umana. Ma come ci
arriveranno gli accidiosi che «visser sanza
’nfamia e sanza lodo»? (Dante, Inferno).
L’Apocalisse ha parole terribili: «Conosco le
tue opere: poiché sei tiepido, non sei cioè né
freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia
bocca» (Ap 3,1516).