25/11/2012
Il professor Francesco Botturi.
Qual
è il rapporto tra religione, morale e società? E’ possibile un nuovo umanesimo
europeo? E che ruolo può avere il pensiero cristiano? “Ogni ragionamento su
questi temi deve fare i conti col fenomeno della secolarizzazione e la sua
ultima evoluzione, perché unisce dal punto di vista socio-culturale religioni e
società che sono intimamente coinvolte in tale processo”.
Ad affermarlo è
Francesco Botturi, docente di Filosofia morale presso l’università cattolica
del Sacro Cuore di Milano, uno dei relatori dell’incontro che s’è svolto a
Venezia sul tema “Dialogo sull’umanesimo: la visione dell’uomo tra religione e
società per l’Europa del futuro”, promosso dal Festival biblico e dal Salone
europeo della cultura.
La premessa del docente, protagonista del
simposio assieme al professor Christoph Wulf, docente di Antropologia e Filosofia dell’educazione presso la Freie Universitaet di Berlino, è che la
religiosità oggi è un tema complesso e in evoluzione, come la concezione della
laicità, e che deva considerare il dialogo tra religioni diverse.
“Anzitutto, oggi, è più giusto parlare di società post-secolare", dice Botturi, "perché una serie di dati ormai
coincidenti indicano che la secolarizzazione non è più un processo militante,
teorizzato e programmatico, come lo è stato negli ultimi tre secoli. Tale mutamento coincide con una
ripresa di forme di sacro anche
selvagge, comunque nuove, e la persistenza di orientamenti valoriali che
si riferiscono alla sfera religiosa”.
- Allude,
in particolare, a qualche ricerca specifica?
“Sì,
mi riferisco, ad esempio, alla Quarta indagine sui valori degli europei realizzata dalla European Values Study (Evs) e curata, per l’Italia, da
Giancarlo Rovati. Essa manifesta nel nostro Paese un processo di post-secolarizzazione
in corso”.
- Ma ciò non smentisce, a riguardo del mondo
giovanile, il modello, teorizzato da
alcuni sociologi italiani, della cosiddetta generazione incredula ?
“Quest’ultima,
infatti, è una tesi confutata da molti. Non si può parlare di incredulità se
metà della popolazione ritiene che l’esperienza religiosa, in qualche forma,
sia importante nell’esistenza. Il problema si pone poi, andando a vedere a cosa
corrisponda questo interesse religioso. Qui ci si ritrova davanti a una
frammentazione di risposte, molto soggettive, che arrivano anche a forme di religione fai da te”.
- Chi ne esce male è la Chiesa come istituzione. E’ così?
“Sì,
è l’eredità più pesante della secolarizzazione: che l’istituzione viene vista
con sospetto e come qualcosa che non aiuta l’esperienza personale. Ma ciò non
porta più con sé una forma di anticlericalismo. Non esiste più censura
ideologica”.
- E invece cosa comporta?
“Una
non-congruenza tra insegnamento del magistero e pratiche etiche dei singoli
credenti. Ma la stima nei confronti della Chiesa per la sua azione sociale e
presenza civile, come grande tradizione religiosa, è fondamentalmente intatta.
E sorprese ci sono anche rispetto alla teorizzata crisi della famiglia come
valore e al cosiddetto relativismo etico imperante”.
- Nel senso che non sarebbero dati così scontati?
“Proprio
così. Anzitutto non esiste antifamilismo, casomai il contrario. E anche tra
quel 35% di chi si definisce credente e che sposa posizioni teoriche
relativiste, al contempo davanti a domande su questioni etiche specifiche, come
ad esempio l’etica sessuale, sono sensibili a norme e principi. E poi c’è
sempre, di fondo, un atteggiamento di ricerca e di autenticità”.
- Qual è in definitiva lo stato di salute del "religioso" nella nostra società?
“Possiamo
dire che la presenza religiosa è ancora molto diffusa, non intaccata più di tanto dall’aspetto
polemico-ideologico, ma è molto frammentaria e scomposta, piena di
contraddizioni che teoricamente non potrebbero coesistere nello stesso soggetto.
E invece vi convivono. Ma questo fenomeno è proprio ciò che caratterizza
l’epoca post-moderna. E in questa situazione
dove è messa in crisi un’idea unitaria di uomo è difficile pensare a un
nuovo umanesimo. La stessa religione, con tali caratteristiche, trova
difficoltà a produrre una cultura. Lassismi o rigorismi in questo senso sono
inefficaci. Bisogna ripartire, piegando il nostro sguardo sull’uomo di oggi,
sulle sue contraddizioni ma anche sul suo desiderio genuino di ricerca”.
Alberto Laggia