18/08/2010
Il fisico Nicola Cabibbo durante l'intervista a Famiglia Cristiana
Ammoniva: “Le contrapposizioni come quella tra evoluzionismo e creazionismo non servono”. E poi: “La ricerca si sforza di leggere il grande libro della natura, ma c’è un punto in cui si deve fermare”. Era un personaggio affascinante e chi di fisica non capiva quasi nulla finiva per innamorarsi della materia. Il professor Nicola Cabibbo se ne è andato in silenzio, così come è vissuto, uomo di scienza straordinario, studioso accanito, ricercatore finissimo, insegnante amato, ma mai con una parola fuori posto, una punta di polemica, nemmeno per quel Nobel che gli fu negato praticamente due anni fa. Qualcuno ha detto che accadde perché lui era cattolico.
Il suo nome è legato alle particelle elementari, ricerca che permise di procedere agli studi della fisica quantitistica. Qualcuno potrebbe chiedersi come si fa a conciliare la fede e la scienza nella coscienza di uno che, per mestiere e per passione, cerca di andare alla scoperta financo dell’infinito. Per Famiglia Cristiana lo intervistai poco più di un anno fa, un lungo colloquio nella sua stanza alla facoltà di fisica della Sapienza di Roma, una delle più prestigiose al mondo. Parlammo un’intera mattina di Darwin e di Giovanni Paolo II. Lui lo conosceva bene, perché per 12 anni era stato presidente della Pontificia accademia delle scienze. E conosceva bene anche Benedetto XVI. Raccontava il dialogo tra scienziati e teologi come un contrappunto infinito di passi avanti e passi indietro. Gli chiesi: “Professore, di fronte alla parole della Bibbia Dio creò l’uomo come la mettiamo?” E lui, secco: “Questa è materia per i teologi”. Ma subito precisò: “E’ un errore ritenere la scienza come l’emancipazione progressiva dalla teologia, perché è una posizione ideologica che non rispetta né la scienza, né la teologia”.
Era contentissimo del fatto che Giovanni Paolo II sdoganò Darwin e poi della revisione del processo a Galileo. Sulla genetica, altro campo dove teologi e scienziati s’accapigliano, osservò che di essa “non bisogna avere paura, perché vorrebbe dire aver paura “della verità e della ragione”. Ma c’era una questione che gli stava a cuore, sopra tutte le altre, come un sogno del quale voleva forse vedere la realizzazione: la riabilitazione di Giordano Bruno. Mi spiegò che ne aveva parlato in Vaticano, ma che segnali in tal senso non ce ne erano. La teoria di Giordano Bruno oggi è dimostrata dalla presenza dei pianeti fuori dal sistema solare, con l’osservazione dei telescopi in orbita. Ma a lui premeva che qualcuno mettesse mano al processo e alla condanna al rogo: “Credo che se ne sappia meno del processo a Galileo Galilei”. Confidava moltissimo in Joseph Ratzinger, per riaprire molte porte ancora chiuse nel rapporto tra la scienza e la teologia, compresa quella che chiuse Giordano Bruno nel carcere e che si aprì solo per mandarlo al rogo. Non era uno scienziato cattolico, ma un cattolico che faceva lo scienziato. Mi disse alla fine con un’ombra di tristezza sugli occhi: “Su Giordano Bruno non sarà facile riconoscere che non c’era alcuna ragione per mandarlo al rogo”.
Alberto Bobbio