13/09/2012
L’ondata di emozione che ha spinto decine
di migliaia di persone a mettersi in
fila per dargli l’ultimo saluto ha dimostrato
quanto il cardinale Martini fosse entrato
nel cuore della gente. Questa massiccia partecipazione
popolare ha sorpreso chi lo considerava
uomo di grande livello culturale, capace
tuttavia di parlare più all’intelligenza che
al cuore. Ma il suo segreto stava proprio nella
capacità di coniugare fede, ragione e sentimento,
nella certezza che il Vangelo si rivolge
all’uomo nella sua interezza.
Ora ci si interroga sull’eredità di questo
grande protagonista dei nostri tempi, in particolare
su quanto lascia in dote alla Chiesa.
Alla vigilia del cinquantesimo anniversario
dell’apertura del Vaticano II, la figura di Martini
si staglia nel panorama ecclesiale come
quella di un autentico e coerente uomo del
Concilio. Anche nel linguaggio.
L’11 ottobre 1962, nel discorso di apertura
dell’assise conciliare, Giovanni XXIII prendeva
le distanze dai “profeti di sventura”, che
«nelle attuali condizioni della società umana
non sono capaci di vedere altro che rovine e
guai». Come Roncalli, Martini guardava alla
cronaca con l’occhio di chi sa che la fede è
prologo di speranza. E nel Discorso alla città
del 6 dicembre 1996 ribadiva che «non saranno
le analisi pessimistiche a migliorare il
mondo». Per poi porsi nella linea conciliare
del dialogo e non della contrapposizione nei
confronti di una società in rapido cambiamento:
«Dal momento che i nostri difetti li conosciamo
bene, dobbiamo acquisire una visuale
positiva, un sogno di futuro che ci permette
di affrontare con energia e coraggio il
passaggio al nuovo millennio».
Uomo profondamente ancorato alla Parola,
tesoro che non conosce l’usura del tempo,
Martini si ritrova ancora in sintonia con queste
altre parole di Giovanni XXIII: «Noi non
dobbiamo soltanto custodire questo prezioso
tesoro, come se ci preoccupassimo della sola
antichità, ma, alacri, senza timore, dobbiamo
continuare nell’opera che la nostra epoca
esige, proseguendo il cammino che la Chiesa
ha percorso per quasi venti secoli».
Come papa Giovanni, Martini sapeva che
il futuro non lo costruiscono i nostalgici ma
i “sognatori”. Che desiderano una Chiesa
che non insegue il potere ma pratica il servizio,
che alla condanna preferisce la misericordia,
che è «consapevole delle sofferenze quasi
insopportabili di tanta parte dell’umanità,
sinceramente partecipe delle pene e desiderosa
di consolare».
Proprio quella Chiesa i cui orizzonti di azione
vengono così indicati nella premessa della
Costituzione conciliare Gaudium et spes: «Le
gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli
uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di
tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e
le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli
di Cristo, e nulla vi è di genuinamente
umano che non trovi eco nel loro cuore».