18/03/2013
L'imam Yahya Pallavicini.
“Sollievo” è la parola usata dall'imam Yahya Pallavicini, vicepresidente della CO. RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) italiana per definire la sua prima reazione all'elezione di papa Francesco. Pallavicini è uno dei 138 sapienti musulmani internazionali che hanno sottoscritto il documento Una Parola Comune tra noi e voi, indirizzato alle autorità religiose del cristianesimo.
"Ho provato sollievo", spiega, "per il ripristino di un referente spirituale per la comunità cristiano-cattolica. Le dimissioni di papa Ratzinger sono state anche per noi musulmani uno shock. Noi non abbiamo nel nostro passato un passaggio di questo tipo, quasi un momento di vuoto. Perciò, quando papa Francesco è stato eletto, ci siamo sentiti sollevati perché c'è di nuovo un punto di riferimento. Non possiamo dare per scontata la partecipazione della grazia. Poteva verificarsi il caos, un'inefficienza dei religiosi tale per cui Dio poteva decidere di ritirarsi. Invece, tutto è andato a buon fine".
- Quale impressione le ha fatto, poi, il nuovo Papa?
"Mi è piaciuto il suo primo gesto: inchinarsi e richiedere la preghiera prima di dare la benedizione. Inchinarsi è la disposizione all'umiltà; chiedere la preghiera è un chiedere aiuto. Infine, dare la benedizione, ovvero accettare la funzione. Otto anni fa aveva chiesto di non essere votato, oggi accetta e chiede la preghiera di tutti. Perché la sua è una funzione sovra-individuale. Questa successione di movimenti può essere un aiuto anche per i musulmani. Significa che dovremmo ritrovarci noi teologi un po' più umili, un po' più semplici. Ed è anche la “beatitudine” dell'incontro interreligioso. Papa Woytila ha avuto la massima apertura al dialogo; papa Ratzinger è stato più teologo. Il messaggio di papa Francesco è di una maggiore naturalità, meno costruito, meno artefatto in termini di saccenza. Un messaggio che anche noi musulmani dobbiamo riscoprire: preparati sì, ma più sciolti. Dobbiamo parlare alle genti, ai cuori, non limitarci all'approfondimento culturale. E dobbiamo pregare perché Dio ci aiuti, sennò siamo arroganti. Anche noi musulmani abbiamo dedicato preghiere al nuovo Pontefice".
- Un altro segno di umiltà è il nome, Francesco.
"A noi piace questo riferimento a san Francesco, nella sua dimensione terrena. Una figura così umile da poter convertire i lupi e parlare agli uccelli. Un modello di santità. Non conosco molto e ho poca sensibilità invece rispetto all'altro Francesco di cui alcuni hanno parlato, Francesco Saverio. La sua dimensione di evangelizzazione non vorrei che significasse esclusivismo individualistico. Per noi, quindi, si deve partire dalla matrice della santità francescana. La santità nella povertà riguarda tutti gli individui, tutti gli esseri umani. Questo terreno comune dev'essere la base di ogni futuro dialogo interreligioso".
- Cos'altro considerate positivo di questa scelta?
"Il fatto che il nuovo Pontefice sia un gesuita. Noi musulmani della Coreis siamo sensibili alla figura di Gesù. Abbiamo con i cristiani questa attesa comune del ritorno di Gesù alla fine del mondo. E questo ci riporta alle prime parole di papa Francesco: “I fratelli cardinali sono andati a prendere il nuovo Vescovo alla fine del mondo”. Per noi, il riferimento non è a un luogo geografico, ma a un momento temporale, alla fine di un momento di crisi, a un nuovo inizio".
- La figura di Gesù come elemento di unione, ma anche la preghiera.
"La preghiera sì, però nel rispetto delle differenze. Stesso Dio nel rispetto delle declinazioni e dei riti di ciascuno".
- Il dialogo interreligioso è essenziale per la pace.
"Come sancito nel documento Una Parola Comune tra noi e voi, insieme musulmani e cristiani formano ben oltre metà della popolazione mondiale. È evidente che questo fa della relazione tra queste due comunità religiose il più importante fattore per il mantenimento della pace nel mondo. Soltanto guardando alla nostra essenza, potremo superare le concause delle nostre incomprensioni, che sono le ragioni dei conflitti. Da questo punto di vista, speriamo che si concretizzi il previsto terzo Forum islamo-cristiano".
- La pace è ovviamente fondamentale. Personalmente, però, ritengo che il dialogo vada perseguito a partire dalla convinzione che esso è significativo e arricchente per tutti.
"Sono d'accordo. Il dialogo interreligioso non deve diventare pacifismo demagogico o assistenzialismo buonista. Bisogna essere convinti della nostra fratellanza spirituale, saper riconoscere l'essenza del divino che ci accomuna. Le persone di fede possono fare argine comune. Se questo avverrà, questo Pontificato sarà davvero rivoluzionario".
Romina Gobbo