13/08/2012
Padre Federico Lombardi (foto del servizio: Ansa).
Paolo Gabriele, l’ex maggiordomo di Benedetto XVI indagato per la
sottrazione di documenti riservati dall’appartamento pontificio, è stato
rinviato a giudizio per il reato di «furto aggravato». Insieme con lui,
per il solo reato di favoreggiamento, dovrà comparire dinanzi al
Tribunale vaticano anche Claudio Sciarpelletti, dipendente della
Segreteria di Stato, arrestato il 25 maggio scorso e messo in libertà
provvisoria su cauzione il giorno seguente.
La decisione è stata presa dal giudice istruttore Piero Antonio
Bonnet, che oggi ha accolto pienamente le richieste avanzate lo scorso 4
agosto dal promotore di giustizia Nicola Picardi. Viene comunque
precisato che la chiusura dell’istruttoria formale è soltanto
«parziale», in quanto le indagini «non hanno ancora portato piena luce
su tutte e le articolate e intricate vicende che costituiscono l’oggetto
complesso di questa istruzione». Di fatto, si afferma nel testo della
magistratura, i documenti «ragionevolmente potrebbero avere anche una
provenienza diversa da quella della Segreteria particolare del Sommo
Pontefice».
Il motivo per cui il furto commesso da Gabriele è stato considerato
«aggravato» è in quanto il fatto è stato commesso «con abuso di fiducia
derivante da scambievoli relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera o
di coabitazione tra il derubato e il colpevole, sulle cose che in
conseguenza di tali relazioni sono lasciate ed esposte alla fede di
quest’ultimo».
A casa dell’uomo, oltre a un’enorme e disordinata massa di documenti di
varia provenienza (buona parte stampata da Internet), sono inoltre stati
rinvenuti tre oggetti di valore sottratti dall’appartamento del Papa:
un assegno di 100 mila euro intestato a Benedetto XVI, una pepita
presumibilmente d’oro e un’edizione dell’Eneide del 1581.
La spiegazione proposta da Gabriele a riguardo del proprio gesto può
essere riassunta in una frase pronunciata nell’interrogatorio del 5
giugno scorso: «Vedendo male e corruzione dappertutto nella Chiesa, sono
arrivato negli ultimi tempi, quelli della degenerazione, a un punto di
non ritorno, essendomi venuti meno i freni inibitori. Ero sicuro che uno
shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la
Chiesa nel suo giusto binario».
Però risulta decisamente sconcertante la prosecuzione del discorso:
«Inoltre nei miei interessi c’è sempre stato quello per l’intelligence,
in qualche modo pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio
dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera un infiltrato».
Come del resto appare almeno ambigua una sua dichiarazione che si
riferisce a un sacerdote del quale non è stato rivelato il nome: «Il mio
atteggiamento di negazione delle responsabilità seguiva anche le
indicazioni del mio padre spirituale che mi aveva detto di attendere le
circostanze e, salvo che fosse stato il Santo Padre a chiedermelo di
persona, di non affermare ancora questa mia responsabilità».
In una conferenza stampa, il portavoce vaticano padre Federico
Lombardi ha precisato che il processo non potrà avere inizio prima del
prossimo 20 settembre, quando verranno riaperti gli uffici giudiziari
vaticani, e ha reso nota «la chiara intenzione del Papa di rispettare
l’autonomia del lavoro della magistratura», cosa che ha per ora fatto
accantonare la pubblicazione del rapporto della Commissione
cardinalizia, nel quale probabilmente sono presenti ulteriori elementi
di valutazione.
Saverio Gaeta