Cosa rischia l'Italia

Alla Settimana sociale il prof. Diotallevi scuote i delegati: un Paese lacerato. Nessuna impunità al potere. Attenti al falso federalismo, che moltiplica piccoli statalismi.

15/10/2010
Il professor Luca Diotallevi
Il professor Luca Diotallevi

L’Italia è la vera posta in gioco. E allora se perde l’Italia cosa accade? La domanda del professor Luca Diotallevi inchioda la platea dei 1200 delegati della Settimana sociale dei cattolici a Reggio Calabria. Mette in fila una serie di analisi e di questioni che oggi scuotano il Paese e a cui bisognerà dare una risposta. La Settimana sociale serve a questo. Il professore, vicepresidente del comitatao che ha organizzato la Settimana, osserva che nessun Paese europeo vive oggi le lacerazioni e le divaricazioni dell’Italia: tra territori e tra generazioni. Scatta un’ovazione quando denuncia che “stiamo illudendo i giovani promettendo loro qualsiasi cosa come un diritto”, ma allo stesso tempo li stiamo “derubando”, privandoli del “diritto di giocarsi alla pari i loro talenti”. Poi passa al debito pubblico, le cui dimensioni sono tali da rendere “impraticabili i vecchi trucchi” del ricorso all’inflazione. Diotallevi non fa alcun nome ma ricorda che se c’è “qualche vincolo esterno” anche a impedire il ricorso ai vecchi trucchi “forse converrà pensarci sue volte prima di biasimarlo”. Il riferimento è alla polemica sul ruolo dell’Unione e della Banca centrale europea più volte criticata da alcuni esponenti di governo, che vogliono mani libere. E anche qui scattano gli applausi.

 Poi c’è l’analisi del potere con parole altrettanto severe: “Ogni volta che un potere o un sistema di potere si fa assoluto ed autonomo la dignità della persona umana è messa radicalmente a repentaglio”. Per cui “nessuna dinamica istituzionale può pretendere autonomia assoluta, né l’esercizio di alcun potere può sottrarsi a specifiche forme di responsabilità e ad un efficace regime di imputabilità”. La soluzione proposta è ragionare attorno ad una crescita che non ha certo bisogno di “dirigismo”, ma di “cooperazione e di sinergie”. Insomma il Paese non può crescere che insieme, un’avvertimento che la Chiesa italiana ripete da decenni, ma sembra sempre inascoltato. Invece è così, per cui il Sud deve essere questione nazionale e il federalismo non deve trasformarsi nella moltiplicazione di tanti “microstatalismi”. Anche su questo passaggio la platea dei delegati applaude con convinzione.

 


Alberto Bobbio
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