27/12/2012
Monsignor Vincenzo Paglia. In copertina: l'arcivescovo presidente del Pontificio consiglio per la famiglia con Roberto Benigni (foto: Alessia Giuliani - Catholic Press Photo).
«Concordo perfettamente: la famiglia che resiste strenuamente di fronte all’attuale crisi economica e di valori è davvero stata la protagonista di questo faticoso 2012, e continuerà a esserlo anche in futuro». L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, commenta così l’idea di Famiglia Cristiana di scegliere la famiglia come “personaggio” dell’anno. In questa intervista, la prima da quando è stato nominato a capo del dicastero vaticano nello scorso luglio, spiega che quella della famiglia è «la questione centrale della società contemporanea, in ogni latitudine e cultura. Anche se non tutti, purtroppo, ne hanno piena consapevolezza».
– Eccellenza, secondo il suo qualificato punto d’osservazione, come sta la famiglia?
«Indubbiamente, sta vivendo un momento di crisi, soprattutto a livello culturale, in relazione al significato che si attribuisce a questa istituzione. Non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a non poche patologie. Da una parte, diminuiscono i matrimoni, sia religiosi sia civili, in quanto i giovani sembrano aver paura di pronunciare un “sì” definitivo, mentre aumentano le separazioni e i divorzi. Dall’altra parte, c’è la singolare contraddizione della corsa di alcuni a voler essere famiglia a ogni costo: anche quelle “di fatto”vogliono esserlo “di diritto”».
– Qual è, a suo parere, la radice di questa dicotomia?
«È l’esplosione di un fenomeno che affonda le radici negli anni Settanta, quando si è iniziato a parlare di morte della famiglia e di una società senza padri. Si voleva la liberazione da ogni legame, quelli con gli altri, con la famiglia. È vero che i vincoli, talora, hanno anche oppresso la soggettività. Ma, oggi, la vertigine della solitudine con il culto dell’“io”, sciolto da ogni vincolo, anche da Dio, rischia di uccidere ogni soggettività, facendo precipitare rovinosamente in basso. Il benessere dell’“io” diventa sempre più il metro per giudicare ogni cosa. L’affermazione dei diritti del singolo giunge a prevaricare su quelli collettivi. Certamente – come è facile constatare – la famiglia si è trasformata nel corso del tempo. Ma il concetto fondamentale che la regge è sempre identico. Si potrebbe fare un paragone con la casa: anche le case degli antichi Romani non erano come i moderni grattacieli, ma avevano comunque quattro pareti e un tetto. Non si può barattare una colonna per una casa!».
– Di fatto, oggi si sente spesso parlare di “famiglie”, piuttosto che di “famiglia”...
«Qui, occorre totale chiarezza, per evitare la babele dei linguaggi. Famiglia è, in tutte le realtà e in tutti i secoli, quella dove un uomo e una donna si uniscono per generare figli e dare continuità alla storia umana. Abusare della parola “famiglia” per descrivere altre realtà è scardinare la verità. E dobbiamo stare attenti ad abolire le differenze, ritenendole distruttrici dell’uguaglianza, poiché è vero esattamente il contrario. La differenza è un valore da difendere e da rispettare all’interno dell’ordine delle cose. Diversa è la questione
dei diritti individuali, relativi per esempio alle questioni patrimoniali, che possono essere tranquillamente regolati dalla giurisprudenza».
– Per alcuni, che fanno la voce grossa, questa della Chiesa è, però, una posizione antiquata...
«Per nulla. La controprova che, invece, la Chiesa è capace di guardare lontano, tenendo ben presente anche il passato, viene da ciò che si è evidenziato in Francia, dove i vescovi hanno precisato con forza le obiezioni a riguardo dei “matrimoni” omosessuali e delle adozioni da parte dei gay, trovando al proprio fianco non soltanto le altre fedi religiose,ma anche una grande parte della società civile, che si è resa conto che si tratta di un tema “laico”, che riguarda tutti. Noi non affermiamo tali posizioni perché siamo tradizionalisti o conservatori di un istituto ormai superato. È in questione la sopravvivenza stessa della società. Semmai, siamo “conservatori dell’avvenire”».
– Ma non è, in qualche modo, un’ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche nelle questioni civili?
«Ma figuriamoci! La Chiesa, che è “esperta in umanità”, come diceva
Paolo VI, conosce bene i drammi degli uomini. E sa bene che,se non ci
fosse la famiglia, la nostra società sarebbe ancor più crudele. Ecco
perché sente la responsabilità di intervenire in questo campo a
tuttotondo. La famiglia non è semplicemente un patto d’amore fra due
persone,magari scambiando questo amore per un sentimento romantico che
va e viene a seconda degli alti e bassi della propria psicologia.La
famiglia aiuta ad apprendere la convivenza,a interessarsi degli altri, a
sentire la responsabilità della vicinanza ai più deboli, a condividere
il concetto di cittadinanza che è alla base di ogni società».
– In fondo, un compito prioritario della Chiesa è quello di favorire
la riscoperta della bellezza del matrimonio, e non soltanto da parte dei
propri fedeli. Non le pare?
«Certamente, sul solco della narrazione della Genesi, che è tornata di
sorprendente attualità:“Non è bene che l’uomo sia solo”. Il bisogno di
famiglia è iscritto nelle profondità della persona umana. Al contrario,
la cultura contemporanea afferma che l’individuo è sciolto da qualsiasi
vincolo. L’individualismo,che rende “liquida” la società e superficiali
le relazioni, porta a non fidarsi più di nessuno. La cultura della
famiglia, invece, la fedeltà, ripropone il valore di un legame
indissolubile. Insomma, fa pensare a una casa non fondata sulla sabbia
dei propri sentimenti. È singolare che le ricerche sociologiche mostrino
che il settanta per cento dei giovani vuole edificare una famiglia con
lo stesso coniuge per tutta la vita. Purtroppo, tale desiderio è
stroncato dalla cultura dominante. Testimoniare la bellezza del
matrimonio, andando controcorrente, è un compito per noi ineludibile».
– Quali possono essere le tracce del cammino per la comunità ecclesiale?
«Prendendo spunto anche da quanto è emerso nel Family 2012 di Milano, la
famiglia cristiana deve tornare a essere nel cuore della pastorale
delle parrocchie e delle diocesi. In passato, forse, siamo stati poco
attenti al cambiamento della cultura. E, per esempio, abbiamo peccato di
pigrizia nel proseguire con corsi prematrimoniali poveri di contenuti.
Non è un caso se di recente i vescovi italiani hanno emanato nuovi
suggerimenti per la preparazione dei fidanzati. Mi pare interessante il
suggerimento di favorire una giornata per la “festa della famiglia”. Un
giorno in cui appaia la gioia di genitori,figli, nonni: tutti testimoni
che la famiglia è una realtà che rende più serena, più bella e più
stabile la vita».
– Ha anche qualche specifico suggerimento in questo senso?
«Proporrei di percorrere un duplice binario.Da una parte, spingerei a
legare di più la famiglia con la comunità cristiana. Se potessi lanciare
uno slogan direi: “Famiglie, tutte a Messa la domenica!”. È
indispensabile riscoprire il primato della domenica e della festa per
poter vivere momenti di preghiera e di solidarietà familiare e sociale.
Dall’altra, cercherei di promuovere una “cultura della famiglia”. C’è
bisogno che si affermi la bellezza della famiglia, la sua utilità, la
sua possibilità.Senza la famiglia la vita è più difficile per tutti.E,
particolarmente, per i più deboli. Questo purtroppo lo si dimentica
facilmente pensando che il sentimento individuale sia la vera roccia su
cui fondare la propria vita. Oggi, ad esempio, la maggior parte pensa
che sia impossibile un amore che duri per sempre. Permettetemi una
battuta: perché non scandalizza nessuno affermare l’amore for ever, per
sempre, per la propria squadra del cuore, mentre suscita scetticismo
affermare l’amore for ever per la propria moglie o marito?».
– Resta però, all’interno della comunità ecclesiale, il macigno dei
divorziati risposati. Che risposta si può dare a chi vorrebbe accostarsi
alla Comunione ma non può farlo?
«L’esclusione dal sacramento eucaristico è un dato oggettivo che si
accompagna alla rottura di un legame, a una ferita che c’è.
Questo,tuttavia, non deve voler dire una penalizzazione sul piano
dell’amore comunitario e dell’impegno per vivere un’effettiva esperienza
ecclesiale. Coloro che sono divorziati e risposati non sono da
considerare cristiani di“serie B”. Gli altri membri della comunità sono
chiamati a far sentire ancor più a questi fratelli e sorelle la
vicinanza fisica del corpo di Cristo che è la Chiesa. E gli stessi
divorziati
risposati non devono sottovalutare la possibilità
della “comunione spirituale”, che già nei
tempi antichi era definita un votum di comunione.
E tutti debbono riscoprire nel contempo,
sulla scia del Concilio, la reale presenza
di Cristo nell’assemblea, nella Parola e nei
poveri. E, si badi bene, al termine della vita
saremo giudicati sull’amore».
– In questo Anno della fede ci sarà qualche
particolare iniziativa?
«Il 26 e 27 ottobre 2013 ospiteremo a Roma
il pellegrinaggio internazionale delle famiglie,
anche in vista dell’Incontro mondiale
del 2015 a Filadelfia. C’è, inoltre, un importante
anniversario: i trent’anni della Carta
dei diritti della famiglia promulgata nel 1983
dal nostro Pontificio consiglio su suggerimento
del Sinodo dei vescovi. È quantomai
opportuno riproporre e arricchire tale testo
affinché si apra dinanzi alla famiglia la strada
dei diritti e non soltanto quella dei doveri.
Quanto il tema della famiglia sia nel cuore
della Chiesa lo ha mostrato anche il recente
Sinodo sulla nuova evangelizzazione: basti
pensare che nei Lineamenta la famiglia
non era nemmeno nominata. Su sollecitazione
del mio predecessore Ennio Antonelli,
nell’Instrumentum laboris sono stati inseriti
alcuni paragrafi, ma nell’assise gli interventi
dei padri sinodali su questo tema sono stati
sorprendentemente più di novanta».
– Anche per la politica italiana sarà un anno
significativo. Gli ultimi Governi hanno visto
dapprima un ministro per la Famiglia, poi
una delega per la famiglia e, infine, un semplice
sottosegretario. Per il futuro, quale auspicio
possiamo lanciare?
«Mi auguro davvero che nel prossimo Governo
si ripristini il ministero per la Famiglia.
E speriamo che non sia, come le famiglie d’oggi,
“senza portafoglio”, ma abbia anche possibilità
concrete di intervenire. Le priorità non
spetta a me definirle, ma credo fermamente
che sia necessario riproporre la famiglia al
centro del dibattito politico, economico e culturale,
affrontando i tanti temi che la riguardano:
dal problema dei figli alla fiscalità,
dall’assistenza agli anziani e ai disabili a una
seria politica della casa e del lavoro. Da recenti
studi risulta che la famiglia normocostituita,
ossia quella con padre, madre e figli, è la risorsa
più preziosa della società: i suoi membri
vivono più a lungo, producono più ricchezza,
hanno minori problemi psicologici e
riescono a tessere un’ampia e robusta rete di
relazioni sociali. Questo è il tessuto che sta
permettendo all’Italia di resistere come nazione.
Questa famiglia è un vero e proprio capitale
sociale, umano oltre che economico».
Antonio Sciortino (ha collaborato Saverio Gaeta)