Don Dal Molin, ha ancora senso, oggi, il Seminario minore?
«Non nascondo che la classica forma “residenziale” dei Seminari minori sta attraversando un momento di difficoltà: credo, però, che la soluzione non sia quella di abolirli, ma di rivederne la proposta educativa. Il fatto stesso che l’esperienza, pur con modalità diverse, sia tuttora presente in 64 diocesi italiane – con presenze in crescita soprattutto nelle regioni del Centro Sud - è un dato sul quale costruire. Tra l’altro, le varie ricerche vocazionali testimoniano che la quasi totalità dei giovani che entrano in teologia hanno avuto una prima scintilla di interesse per il ministero ordinato per lo più grazie ad una positiva identificazione con una figura di sacerdote, incontrato da ragazzi: questa, dunque, è una età a cui va data particolare attenzione vocazionale».
Quali forme deve avere per tenere il passo con i tempi?
«Se guardiamo alle nuove esperienze che stanno interessando soprattutto il Nordest e la Lombardia, si sta passando dal Seminario minore residenziale a tempo pieno, come lo si intendeva sino ad un recente passato, a comunità nelle quali i ragazzi frequentano le scuole pubbliche della loro città, mantengono un legame con i loro coetanei, partecipano ai cammini associativi delle loro parrocchie… La vita comunitaria, qualificata dall’accompagnamento di formatori vocazionali e dal coinvolgimento attivo delle famiglie, diviene comunque essenziale per aiutarli a costruire una stima di sé adeguata, una identità coerente e stabile, un cammino di maturazione affettiva serena ed un rapporto con la famiglia più costante».
Avete delle direttive nazionali cui attenervi o le state elaborando?
«La “Ratio fundamentalis”, rivista nel 2007, è il documento che ispira e orienta la formazione dei Seminari nelle diocesi italiane; compete alla Congregazione vaticana per l’educazione cattolica e alla Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata della Conferenza episcopale italiana mettere a tema indicazioni e orientamenti qualificanti.
Come Centro nazionale vocazioni ci stiamo interessando sempre di più ad un aspetto significativo della pastorale vocazionale, che ha spesso uno sbocco nei Seminari minori: mi riferisco ai “ministranti” o chierichetti, un ambito particolarmente vivo, che da sempre è stato una fucina di ragazzi con una buona “disponibilità vocazionale”».
Negli ultimi dieci anni alcune diocesi hanno rinunciato al Seminario minore...
«Effettivamente ci sono state diocesi, che hanno rinunciato ai Seminari minori per mancanza di presenze di ragazzi o per un impegno sproporzionato di energie formative. Molte di queste, comunque, hanno attivato cammini integrativi - spesso investendo anche sui parroci - con incontri zonali e proposte residenziali di minore durata, ma coinvolgenti e interessanti anche per le modalità comunicative con cui si rivolgono ai ragazzi stessi».
Tra i seminaristi "minori" ci sono ragazzini stranieri extracomunitari?
«Cominciano anche ad essere presenti nei Seminari minori, in particolare provenienti dall’Africa, a conferma della vitalità della chiesa africana nell’ambito vocazionale, anche al di fuori dei confini della propria terra».
Qual è la percentuale dei ragazzi che passano dal Seminario minore a quello maggiore?
«Attualmente le vocazioni che provengono dal mondo giovanile e dai cammini associativi integrati da opportuni percorsi di accompagnamento vocazionale e di discernimento, sono certamente in maggioranza nei Seminari maggiori. Tuttavia l’integrazione numerica proveniente dai Seminari minori è ancora significativa e propone dei ragazzi che hanno saputo valorizzare le proposte formative a loro offerte».