12/02/2013
C’è un retroscena importante nelle dimissioni di Benedetto XVI. Stranamente, un dato così decisivo per la notizia del millennio che nessuno vuole vederlo. Il retroscena è questo: non c’è nessun retroscena. Il Papa ha deciso di rinunciare esattamente per i motivi dichiarati: a 86 anni si sente stanco nel corpo e nello spirito e non più capace di assicurare alla Chiesa la guida di cui essa ha bisogno e che un miliardo di fedeli si merita. Stop.
Le ricostruzioni che circolano in questi giorni sono quasi un insulto per una personalità forte e limpida, sempre coerente con se stessa, come quella dell’attuale Pontefice. Abbiamo letto di tutto. E’ malato, ma i medici smentiscono e gli attribuiscono, semmai, gli acciacchi tipici, “normali”, per un uomo di quell’età. Non è riuscito a riformare la Curia vaticana, anche se mai è parso che Benedetto XVI, a sua volta prelato di Curia, si fosse dato quell’obiettivo; anche se solo qualche mese fa fu proprio lui a ribadire la propria fiducia nel segretario di Stato, il cardinale Bertone. E’ stato piegato nell’animo dagli scandali, primo fra tutti quello dei preti pedofili, anche se fu proprio lui, nel 2005, durante la Via Crucis che precedette la sua elezione, a denunciare “il marcio e il sudiciume nella Chiesa” e a perseguire poi per anni una “operazione pulizia” che nessuno prima di lui aveva anche solo osato immaginare. Se ne va a causa degli scandali, anche se è stato Benedetto XVI ad affrontarli senza timori, sotto gli occhi del mondo, con nomi e cognomi, udienze pubbliche, persino con una commissione speciale di tre saggi che già era, di per sé, una franca ammissione del problema.
Se ci è permesso, vorremmo chiedere una sola cosa: davvero qualcuno può credere che le difficoltà del governo della Chiesa mondiale fossero ignote a colui che già da cardinale era una delle figure più prestigiose del Vaticano e uno degli uomini più vicini a Giovanni Paolo II? Che il teologo che ha guidato dal 1981 al 2005 la Congregazione per la dottrina della fede abbia scoperto solo da Papa eventuali incrostazioni e vizi di una macchina così antica, potente, prestigiosa e per molti versi anche efficiente? E’ questa l’idea che ci siamo fatti di Joseph Ratzinger? Di un povero studioso in balia di una pletora di burocrati in tonaca? E come si concilia, questo ritratto, con la realtà di un uomo che in perfetta autonomia prende una decisione inedita nella storia della Chiesa e, per conseguenza, del mondo?
Fulvio Scaglione