05/06/2010
Con la beatificazione di padre Jerzy Popieluszko, domani a Varsavia, la storia della Polonia si arricchisce di una profonda consapevolezza: il martirio in odium fidei del trentasettenne sacerdote ha coronato una esistenza intessuta di fede e di amore per la sua terra e per il suo popolo, tanto che la cerimonia coincide con la «Giornata della gratitudine» istituita dalla Chiesa polacca per ricordare la riconquista della libertà nazionale nel 1989.
Sono trascorsi ventisei anni da quel 19 ottobre 1984, quando l’automobile di Popieluszko venne bloccata da un gruppo di funzionari del Ministero degli interni e il sacerdote fu prelevato con la forza, brutalmente picchiato, legato a un sacco pieno di pietre e gettato ancora vivo in un bacino artificiale. In quel momento era parroco di San Stanislao Kostka e soprattutto si poteva definire il “cappellano” del movimento operaio di Solidarnosc.
Ciò di cui il regime comunista aveva paura erano le sue Messe per la Patria, che don Jerzy aveva cominciato a celebrare dopo la proclamazione della legge marziale del 13 dicembre 1981, alle quali partecipavano migliaia di persone attirate anche dalle sue coraggiose omelie. Però, nonostante le sollecitazioni del cardinale Jozef Glemp, il sacerdote non accettò di abbandonare il suo Paese per salvaguardare la propria incolumità, minacciata in più occasioni.
Mezzo milione di polacchi sfilarono al suo funerale e da allora si calcola che 18 milioni di persone si siano recate sulla sua tomba per rendergli omaggio. Fra loro, anche Giovanni Paolo II, il 14 giugno 1987.
Saverio Gaeta