14/04/2011
Uno dei tunisini sbarcati a Lampedusa con il permesso provvisorio di soggiorno.
No ai ghetti, perché questo sono le grandi
tendopoli e i grandi centri di accoglienza per gli immigrati. I vescovi della
Sicilia non hanno dubbi: “Non sono rispettose della dignità umana delle persone
immigrate e non sono idonee ad una loro integrazione con il territorio, oltre a
risultare problematiche per le popolazioni locali”. Ma anche i vescovi della
Lombardia criticano il Governo e chiedono “un’accoglienza organizzata e
competente”.
Nei due documenti, che pubblichiamo nell’allegato pdf, è contenuta
una riflessione profonda circa le ragioni per cui si deve cambiare politica.
Intanto, fanno notare i vescovi lombardi, non si può parlare di invasione.
L’
Italia accoglie tuttora 55 mila profughi considerati rifugiati politici contro
i 600 mila della Germania e i 200 mila della Francia. E all’epoca della
guerra nella ex-Jugoslavia, il nostro Paese ha dato asilo a 77 mila persone.
Quindi di fronte alla gente che fugge dalla violenza e della instabilità
occorre una lettura più attenta e più libera.
Spiegano che il Vangelo invita ad
accogliere lo straniero, ma la stessa cosa fa
la nostra Costituzione, che
prevede il diritto d’asilo a tutti coloro ai quali nel proprio Paese non è
garantito l’esercizio delle libertà democratiche previste dalla “nostra
Costituzione”. Si badi bene: dalla “nostra” Costituzione e non da quelle di
altri. Qui sta il punto, ma nessuno sembra ricordarsene.
Ecco perché invece i
vescovi siciliani chiedono di applicare “misure di protezione temporanea” a chi
è sbarcato in questi mesi e ricordano che la logica dell’ “ordine pubblico” non
funziona. Avvisano che si esasperano solo gli animi per ottenere “il rimpatrio”
e per “dissuadere dal partire chi è rimasto”.
Nel documento i vescovi della
Sicilia insistono anche sulla revisione della disciplina della cittadinanza,
argomento sottolineato anche dalla Settimana Sociale dei cattolici di Reggio
Calabria, e su una “riforma generale della legge sull’immigrazione”.
Alberto Bobbio