Bagnasco: ripensiamo il Paese

Aprendo i lavori dell'Assemblea generale dei vescovi, il cardinale Angelo Bagnasco ha parlato anche di terremoto e attentati. E ha invitato a lavorare per "risvegliare la speranza".

21/05/2012
Il cardinale Angelo Bagnasco. In copertina: il Cardinale in visita ai cantieri della Fincantieri (foto del servizio: Ansa).
Il cardinale Angelo Bagnasco. In copertina: il Cardinale in visita ai cantieri della Fincantieri (foto del servizio: Ansa).

Con un pensiero al tragico terremoto che ha danneggiato il Nord Italia e ai gravissimi attentati che hanno colpito Brindisi e Genova, il cardinale Angelo Bagnasco ha dato avvio a Roma ai lavori della 64a Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana.

«Distruzione e danni ingenti, panico e terrore, dolore e morte per una calamità, sempre possibile, ma che – ci verrebbe da dire – troppo spesso ci visita e ci fa toccare tragicamente la fragilità dell’esistenza umana», sono state le accorate parole del presidente della Cei, che ha garantito la vicinanza alle comunità locali: «Ci stringiamo a esse, preghiamo per i morti e i feriti, siamo solidali ai loro parenti, e ci impegniamo a fare per intero la nostra parte affinché la vita normale possa riprendere al più presto».

Il ricordo di Melissa Bassi, la studentessa morta a Brindisi, e di Roberto Adinolfi, il dirigente gambizzato a Genova, hanno fatto dire al cardinale Bagnasco che «è inevitabile fare collegamenti col passato e intravvedere ombre eversive che cercano di pescare nel torbido di disagi e paure per destabilizzare la vita sociale. (...) L’intera nazione deve isolare, con sdegno compatto e univoco, coloro che sbandierano false e mortifere utopie. Non permettiamo che questi servi della violenza ci intimidiscano e ci assoggettino al terrore».

Un cenno anche alla recentissima divulgazione di lettere e documenti riservati sottratti dalla scrivania di Benedetto XVI, su cui la Santa Sede ha annunciato iniziative in sede giudiziaria: «Si cerca di costruire colpi di scena con l’arma impropria di un’informazione “rubata” a sedi istituzionali altissime, che hanno status internazionale. Non possiamo con fermezza non ricordare che la deontologia giornalistica non è qualcosa che si può usare a proprio piacere secondo circostanze e interessi: essa ha regole, doveri e limiti precisi».



Quindi il cardinale Bagnasco ha espresso la consapevolezza dell’episcopato «di avvertire la nostra distinta responsabilità» perché «quanto maggiormente incombono le difficoltà del vivere, tanto più si è soliti guardare alla Chiesa come ad un interlocutore vicino e concreto». E dunque la sua sollecitazione: «A una crisi epocale si deve rispondere con un cambiamento altrettanto epocale, di mente anzitutto, che invece è la più lenta a lasciarsi modificare». Con un appello netto: «Dobbiamo andare oltre, e puntare a un palpito collettivo, motivato e fermo di reazione, di critica, di progetto. In una parola: a un risveglio della speranza».

Il ruolo della parrocchia e dei movimenti come «via alla Chiesa», l’incontro mondiale delle famiglie a Milano e l’Anno della fede che verrà inaugurato nel prossimo ottobre, un invito ai consacrati e ai laici cristiani a dispiegare «tutto l’entusiasmo di cui siamo capaci», il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II sono stati alcuni dei temi sui quali il presidente della Cei si è soffermato, invitando i confratelli a riflettere insieme durante questi giorni assembleari. In particolare, ha sottolineato, «è il volto interiore della Chiesa quello che dobbiamo coltivare con ogni premura e amore, assecondando e non ostacolando in nessun modo quel movimento di riforma a cui papa Benedetto è impegnato con tutta la sua persuasiva e delicata intraprendenza».

Dinanzi alla crisi dell’idea europea, dovuta anche alle emergenze economiche, una parola chiara: «Non ci può essere un’Europa senza passione, senza l’interiorità che sgorga dal patrimonio storico, culturale e religioso che i popoli europei hanno in comune. Un’Europa che non diventi anche avventura culturale e spirituale non riuscirà a plasmare il sentimento di appartenenza, e non sarà mai una comunità di destino. Ci vuole il coraggio di un’autocritica condotta a partire dal momento in cui si abbandonò il termine Comunità per quello più banale di Unione, e si censurarono le radici cristiane obiettivamente storiche del continente, ritenendola una reticenza di stile del tutto ininfluente. È quel vuoto invece che oggi non mobilita, perché non si ha nulla per cui riconoscersi».

E il «serio bisogno di riforma economica, ma prima ancora di un gigantesco ripensamento culturale collettivo» riguarda in primis l’Italia. Perciò, ha auspicato il cardinale Bagnasco, «il nostro Paese diventi come una grande aula dove tutti ci facciamo alunni attenti per apprendere le mai concluse lezioni della vita; per tornare alle verità perenni che hanno forgiato la saggezza dei singoli e dei popoli. (...) Il maestro, in questa ideale aula, è la vita stessa che si declina nelle vicende della storia di ieri e di oggi. Invero, in quanto richiama verità universali, è eco di un altro Maestro, Cristo, la Verità piena che raccoglie in sé tutto ciò che di vero, buono e bello vi è in questo straordinario universo».

Saverio Gaeta
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Postato da Franco Salis il 22/05/2012 14:23

Fedele al mio modo di essere, con l’auspicio di non irritare alcuni interlocutori, mi permetto di avanzare alcune riflessioni, in merito al servizio di Saverio Gaeta. A scanso di equivoci preciso che le riflessioni non sono dirette né a Saverio Gaeta, né al cardinale Bagnasco, ma unicamente al pensiero da loro manifestato. Per pervenire alle riflessioni di seguito espresse ho dovuto “ripassare” i documenti riguardanti l’Europa, che non sono pochi e, aggiunte le modificazioni, è facile che mi può essere sfuggito qualcosa. Come sempre ringrazio per eventuali osservazioni. Più volte il cardinale Bagnasco ha lamentato il mancato e preciso riferimento “ alle radici cristiane” nei documenti dell’Europa. E mi pare di aver già osservato che se fosse stato accolto l’invito sarebbe stato uno schiaffo ai valori laici (laici non laicisti) dell’Europa. La legislazione riguarda l’Europa di oggi e non quella delle sue origini di cui ha parlato il Papa al Bundestag Il 22 settembre 2011 con una argomentazione discutibilissima, se non altro perché non è l’unica tesi. Del resto non bastano le “radici” ma lo sviluppo della storia. Io sardo non andrò ad abitare in un Nuraghe(non è certa la destinazione abitativa di quelle costruzione).Come neppure nella così detta tipica “domo sarda”( domo= casa),che era l’abitazione de los Ziraccos (servi) caratterizzata da una struttura che nasceva e cresceva, senza i necessari livellamenti, in occasione delle esigenze della famiglia senza alcuna progettualità. Mentre “sos meres” (= i padroni) abitavano in” sos palatos”( = case a più piani).Da ricordare che “ sos meres” hanno tratto grande vantaggio dall’ “editto delle chiudende 1820/23 ” e dallo sfruttamento del lavoro servile. Tuttavia il preambolo del testo del trattato di Lisbona al paragrafo 1/a) recita : Il preambolo è così modificato: a) il testo seguente è inserito come secondo capoverso: «ISPIRANDOSI alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e dello Stato di diritto”. A me non sembra che nessun valore soprariportato sia in contrasto con i valori del cristianesimo, anzi sono felicemente coniugati senza forzature di cui teme il cardinale Pertanto l’esigenza più volte lamentata dal Papa e da Bagnasco, appare immotivata. Anzi è motivo di preoccupazione, se associata alla espressione del Papa e ribadita dal cardinale “Necessaria nuova generazione di Politici cattolici (Cagliari 8 sett.2008 e in almeno altre due circostanze. Anche la lagnanza dell’abbandono del termine “comunità” per adottare quello “più banale di Unione”, è del tutto fuori luogo e non può essere addotta da un esponente della Chiesa Cattolica. Infatti la Chiesa Cattolica in quanto organizzazione fortemente gerarchizzata non può parlare di “comunità”. Per comunità si intende un insieme di più persone aventi identiche idealità e storia che per soddisfare bisogni comuni si servono di regole ENDOGENE E NON IMPOSTE dall’esterno e le varie funzioni sono svolte da persone elette all’interno della comunità stessa. In difetto non si può parlare di “comunità”. Chi accetta il “primatum petrinum” non può parlare di comunità.Adiosu

Postato da vkaspar il 22/05/2012 12:36

"Quel vuoto...perchè non si ha nulla in cui riconoscersi", associato a "il serio bisogno di riforme,...un gigantesco ripensamento culturale..." Non vorremmo che "Nei momenti in cui è in gioco il futuro di un popolo, è il passato a ritornare", e anche a causa dello spettro del terrorismo, si consentisse un "Governo di solidarietà nazionale", di necessità, vetusto pezzo da teatro-museo, no grazie !, ai fantasmi rimessi in circolazione.

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