19/01/2013
Un'immagine del Concilio Vaticano II. In copertina: Papa Bendetto XVI e il Il primate anglicano, l'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams.
Se tentiamo un bilancio del dialogo ecumenico a 50 anni dal Concilio abbiamo due parametri di lettura che dovremmo imparare a non contrapporre bensì a tener presenti nella loro complementarietà. Da un lato potremmo tracciare un bilancio a partire dagli ultimi anni e sottolineare gli elementi di stanchezza, di riflusso, di reciproci indurimenti identitari che hanno rallentato e appesantito il cammino verso l’unità visibile dei discepoli di Cristo, fino a confinarla nello spazio dell’utopia.
D’altro canto potremmo rileggere questi cinquant'anni di ecumenismo dalla prospettiva della situazione iniziale: quali erano i rapporti tra le nostre Chiese all’inizio del Concilio? Quante delle posizioni, dei gesti e delle attese di quelli che allora erano dei “pionieri” dell’ecumenismo sono oggi ormai assimilate dal corpo ecclesiale nel suo insieme?
Contrapposte queste due ottiche può portare o alla nostalgia per gli entusiasmi iniziali e per i balzi innanzi inimmaginabili compiuti oppure, al rovescio, a una stanca soddisfazione che si accontenta di salvaguardare alla bell’e meglio i risultati raggiunti. Ma il cammino ecumenico non è un progetto tra i tanti nella vita delle Chiese, da sperimentare per un po’ e lasciar cadere quando le forze o l’entusiasmo vengono meno: è la risposta a un preciso comandamento del Signore, alla sua preghiera al Padre: «siano una cosa sola» (Gv 17,21).
Siamo allora chiamati a un rinnovato slancio di conversione, di consapevolezza che ogni cristiano, a qualunque confessione appartenga, è discepolo del Signore Gesù, è battezzato nel suo nome, è animato dallo Spirito Santo, è reso testimone della morte e risurrezione del Signore per la salvezza dell’umanità intera. Solo così sapremo mostrarci eredi di quei padri conciliari e os- servatori non cattolici che hanno fatto del Vaticano II, per dono dello Spirito, “la più gran- de grazia” fatta alla Chiesa nel secolo scorso, come hanno concordemente affermato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Enzo Bianchi