13/02/2013
Monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, le riflessioni sulla rinuncia di Benedetto XVI le ha messe nero su bianco, in una lettera indirizzata a tutti i fedeli della sua diocesi. «Per me è quasi l’ultima e autentica enciclica in cui giunge a pienezza il senso di un Pontificato non lungo, ma denso di valore teologico, di autorevolezza culturale e di testimonianza pastorale, vissuti con un magistero indifeso e disarmante», osserva monsignor Brambilla. «Mai un tono sopra le righe, mai un eccesso nel gesto, neppure alcuna tentazione di imitare il carisma mediatico del predecessore. Il Papa si è mostrato con il suo timido e gentile tratto che chiedeva quasi il permesso di bussare alla porta del tuo ascolto e della tua coscienza».
«Così l’ho conosciuto anch’io, quando venne a Milano nel 1999», prosegue il vescovo di Novara. «Poiché sapevo il tedesco, il cardinale Martini mi chiese di accompagnarlo, per i due incontri previsti con i sacerdoti a Seveso e a Milano. Sono stato due giorni interi con lui, seguendolo anche sull’auto. Ricordo che arrivando a Seveso, il cardinale Ratzinger non voleva fare la conferenza, ma rispondere a un dialogo, per cui avevo preparato delle domande e gliele avevo inviate prima. Gli chiesi se voleva riascoltarle, perché le avevo impreziosite con qualche citazione dai suoi scritti. Mi rispose: “Lasciamo fare allo Spirito Santo”. Mi aveva colpito la sua serenità e semplicità delle risposte, tanto che un prete piuttosto impertinente aveva commentato: “Eminenza, ma Lei non è quello che appare dai giornali!”. E Lui aveva ribattuto: “Non comportiamoci in base a quello che si scrive di noi…”. Mi prendeva leggermente sottobraccio, commentando i due giorni, chiamandomi teneramente “don Franco”, persino con qualche tratto di sottile ironia».
«Noi vogliamo essere vicini a lui nella preghiera, nell'intimità di Dio, a chiedere conforto, speranza, consolazione: per lui e anche per noi, che ci ritroviamo, davvero, "orfani" di un pastore che è per noi padre amorevole e amabilissimo», ha dichiarato monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino: «Lo dico per me prima di tutto: lui mi ha scelto come vostro vescovo, mandandomi a una comunità che conoscevo poco ma che ho imparato ad amare».
«Ma per la Chiesa e l'intera comunità civile torinese Benedetto XVI è il grande Papa venuto pellegrino alla Sindone il 2 maggio 2010», ha sottolineato monsignor Nosiglia. «Ho sentito il calore di quell'incontro ben vivo in mezzo a voi, insieme con la memoria di un abbraccio che aveva toccato tutti: da chi vive al Cottolengo ai giovani, dai pellegrini della Sindone alle migliaia di torinesi che hanno voluto vivere quel giorno straordinario vicino a
lui. Per quella giornata, come per tutto il suo magistero, la nostra riconoscenza è grande».
L'emozione non si spegne. Dalle diocesi e dai movimenti si snocciolano i commenti, le preghiere,
gli auspici. La Comunità di Sant’Egidio esprime «gratitudine per l’amore per la Parola
di Dio, la predilezione per i poveri, l’insegnamento autorevole e la mitezza
che hanno caratterizzato gli anni del pontificato»; il Meic sottolinea che «nel
cuore di tutti è ancora vivo il ricordo dell’amabilità con cui accolse il
Movimento pochi mesi or sono, nel maggio scorso in occasione dell’udienza per
gli 80 anni del Meic, e della forza che ogni parola del suo messaggio
trasmetteva. Quella stessa forza che lo ha assistito nell’“esaminare
ripetutamente” la propria “coscienza davanti a Dio” e nel prendere questa sua
decisione con coraggio e libertà».
Per il presidente del Rinnovamento nello
spirito, Salvatore Martinez: «La sua non è una fuga dalla responsabilità di un
Pontificato terribilmente esigente quanto ad efficienza richiesta, piuttosto
l’umile, coscienziosa, veritiera espressione di una responsabilità che non
potendo più essere onorata nella pienezza del servizio richiesto e non potendo
essere delegata ad alcun altro Vescovo o Cardinale, può solo essere rimessa
nelle mani del Collegio cardinalizio, perché sia lo Spirito Santo ad indicare
chi dovrà governare la Chiesa».
Per gli universitari della Fuci
«l’umiltà del gesto del Papa mostra il volto umano della Chiesa e costituisce il
terreno fertile in cui far maturare semi buoni di comunione ecclesiale».
Nello
stesso segno anche il commento che arriva dal vescovo di Arezzo, monsignor
Riccardo Fontana: «Con il suo gesto, il Papa ha amato la Chiesa più di sé
stesso. Per amore, ha preferito ritirarsi dal ruolo di guida della Chiesa
Universale e rimanere a sostenerla con la preghiera, piuttosto che, fragile e
debole, non assicurare al popolo di Dio quella guida certa che noi abbiamo
gustato il 13 maggio 2012 sul Prato dietro il Duomo di Arezzo, in cui ha
salutato tutta la Toscana dicendo parole memorabili: “Coraggio, ora è tempo di
osare”».
Dalla Sicilia, il vescovo di Caltanissetta, monsignor Mario Russotto
aggiunge: «Il Sommo Pontefice ha scelto di annunciare questa triste rispettabile
sua decisione nella Giornata Mondiale del malato, quasi a volersi egli stesso
porre nella schiera degli infermi pienamente consegnati all’abbraccio della
divina Misericordia. Questo giorno per la Chiesa è anche memoria liturgica
della Madonna di Lourdes: a Lei vogliamo affidare il Papa e tutti coloro che
con coraggio portano il peso della sofferenza e del dolore».
Il
cardinale Paolo Romeo si fa «interprete dei sentimenti di tutta la comunità
diocesana di Palermo» e sprona i fedeli ad «accogliere questa sovrana decisione
del Santo Padre con quella stessa fede che, in questo particolare anno di
grazia siamo tutti spronati a professare e confermare, specie nei momenti di
smarrimento e confusione».
Alberto Chiara e Annachiara Valle