Libera la domenica, ecco perché

Parla Marco Venturi, presidente di Confesercenti: aprire di domenica non aumenta i consumi e distrugge la famiglia. Domenica 25 novembre raccolta firma davanti alle chiese.

14/11/2012

Innanzitutto un appello ai Governatori delle altre Regioni. Marco Venturi, presidente nazionale di Confesercenti ringrazia il Piemonte, la Toscana, l’Emilia Romagna e il Veneto per essersi subito schierati in favore della campagna contro la liberalizzazione selvaggia delle aperture festive. E poi chiede «che si schierino anche gli altri in una battaglia che mira a riportare le competenze alle Regioni».

- Cosa cambierebbe?

«Innanzitutto il fatto che, essendo più vicine al territorio e conoscendo meglio tradizioni e abitudini, gli enti locali sono i soggetti che meglio possono calibrare le eventuali aperture».

 

- La vostra iniziativa sta suscitando molto interesse. È così?

«Si, è vero. Occorre però che questo interesse confluisca poi nelle firme reali per il referendum. Per questo ricordo che quelle raccolte on line hanno un valore di testimonianza molto importante, ma non hanno valore legale. Per questo è importante recarsi poi nelle sedi indicate da confesercenti (per tutte le informazioni www.liberaladomenica.it ndr.) o nel banchetto che sarà predisposto il 25 novembre sul sagrato delle chiese e firmare realmente».

- Perché chiedete la chiusura domenicale, non si guadagna di più a tenere aperti?

«Quando c’è crisi c’è crisi. Non basta aprire di più per far aumentare i consumi. Se non c’è lavoro e non ci sono salari la gente, giustamente, non può aumentare le proprie spese. Anzi, soprattutto per i piccoli e medi esercenti, è un fatica in più».

Marco Venturi.
Marco Venturi.

- Perché?

«Perché si tratta in gran parte di imprese che si reggono su una gestione familiare. E allora aprire sette giorni su sette penalizza innanzitutto la famiglia. Ripeto, senza neanche un vantaggio economico».

- Se il vantaggio economico ci fosse, cambiereste opinione?

«Eravamo contrari alle aperture domenicali anche prima della crisi. Vorremmo che fosse chiaro che la nostra non è una battaglia solo corporativa per difendere i nostri negozi e le nostre attività. Siamo convinti che ci siano anche altri valori, in particolare quello della famiglia e del riposo, che vanno tutelati. Una società forte e coesa si regge sui valori».

Annachiara Valle
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Postato da LucianoT il 14/11/2012 13:51

(per laredazione di FC, da non pubblicare: mi scuso se, per caso, risulterà che ho inviato questo mio intervento due volte, ma non sono certo di averlo fatto la prima volta, grazie!) Ho letto con attenzione l'intervista a Marco Venturi e convengo con lui sulla motivazione principale che è alla base della raccolta di firme per un eventuale referendum e cioè la motivazione economica; comprendo bene la difficoltà dei piccoli esercenti nel poter gestire (senza rimetterci) la propria attività anche alla domenica, il che comporta supplementi di paga ai dipendenti ed un aumento dei costi di gestione con la consapevolezza (basata sull'esperienza) che "il gioco non vale la candela", dal punto di vista di profitti. Invece mi trovo totalmente in disaccordo quando apprendo che si raccoglieranno le firme per tale referendum sui sagrati delle chiese e quando il signore in questione si dice convinto "che ci siano anche altri valori, in particolare quello della famiglia e del riposo, che vanno tutelati".... La mia attività lavorativa, come quella di tanti altri, richiede spesso il mio impegno anche alla domenica e nei giorni festivi; non per questo mi sento frustrato nel mio essere cristiano o nel mio far parte di una famiglia. Si santifica la propria giornata offrendo il proprio impegno sul lavoro come preghiera, sforzandosi di svolgerlo nel miglior modo possibile e dando l'esempio a chi ci è vicino o lavora con noi. Ma questa è caratteristica del cristiano anche "feriale". A tutti i cristiani piacerebbe santificare le feste con tutti i crismi, ma - siamo realisti, per cortesia! - se tutti volessimo fermarci nei giorni festivi, la società si bloccherebbe. Non si lavora soltanto per la propria attività, ma ci sono migliaia di persone che - per esempio - sono impiegate nei servizi pubblici: non avrebbero anche loro diritto a rivendicare "anche altri valori, in particolare quello della famiglia e del riposo"? O forse ci sono cittadini e lavoratori di serie A ed altri di serie B? Quindi, non vedo il motivo (da parte della Chiesa) di cavalcare questa battaglia che, nella sua motivazione più vera ed importante (per chi propone il referendum) cerca (giustamente, dal punto di vista dei promotori) di tutelare gli interessi economici di una categoria; a meno che, nella Chiesa, non ci sia qualcuno che pensa seriamente che chi lavora di domenica o nei giorni festivi, non possa essere un buon cristiano...

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