12/09/2011
Paul Bhatti.
“Martiri e testimoni della fede”. Uno dei forum della prima giornata del 25° incontro internazionale di pace è dedicato alla dimensione del martirio, uno dei segni peculiari che marcano la fede della nostra epoca, e non solo quella delle comunità cristiane delle origini. Lo ha ricordato monsignor Marc Stenger nell’introdurre la partecipata tavola rotonda. «Il martirio della fede nel sangue nella nostra epoca è diventato patrimonio comune di cattolici, anglicani, protestanti, ortodossi», ricordava Giovanni Paolo II nel n. 37 dell’enciclica Novo Millennio Adveniente. E i milioni di martiri del ‘900 e del primo decennio del nuovo secolo a tutte le latitudini e longitudini stanno lì a ricordarlo. Martirio, dunque come marchio di ogni tempo della storia della fede cristiana. «È importante ricordare questi martìri in dimensione ecumenica», ha sottolineato Mons. Stenger, introducendo gli ospiti del forum, appartenenti a tutte le confessioni cristiane, «esse sono decisamente l’ecumenismo più convinto».
Fra le testimonianze molto toccante quella di Paul Bhatti, fratello di Shabaz, trucidato dai talebani lo scorso 2 marzo. «Mio fratello ha dato la vita per la libertà religiosa e la sua morte ci ha lasciato afflitti e arrabbiati. Lui voleva una società, dove i diritti religiosi siano rispettati e per questo io oggi porto avanti il suo lavoro, perché il sogno di Shabaz in Pakistan si realizzi», ha testimoniato Bhatti, che oggi è consigliere speciale per le minoranze del Primo Ministro Yousaf Raza Gilani. Ha poi aggiunto: «Le minoranze religiose in Pakistan hanno perso un testimone e un attivista, io ho perso un fratello, un amico, un collega». Shabaz Bhatti, prima di diventare ministro per le minoranze religiose e di trovare la morte per mano di talebani estremisti, aveva cominciato la lotta per la tutela della minoranza cristiana fin da giovane e con risorse molto scarse. Il suo scopo, come ha ricordato il fratello, «era quello di liberare i fratelli cristiani perseguitati da un’oppressione fatta d’ingiustizia e intolleranza. Io ho scelto di continuare la sua opera e sono sicuro che lui mi protegge dal posto della casa di Dio da cui mi guarda», ha concluso.
Jesus Delgado, ex segretario di mons. Oscar Romero nei tre anni in cui fu vescovo a San Salvador, fino dunque al marzo 1980 quando fu trucidato da un sicario durante la celebrazione eucaristica, ha parlato di lui come «massimo testimone della fede fino al martirio, una testimonianza viva che mostra come “il servo non è più del maestro” ». Mons. Delgado, che oggi è Vicario generale nella diocesi di San Salvador, ha parlato del martire William Quijano, assassinato il 28 settembre 2009 a colpi di pistola da due ragazzi delle bande di San Salvador, chiamate “maras”, e membro della comunità di Sant’ Egidio. «Prima di conoscere la comunità», ha ricordato il prelato, «William aiutava i giovani drogati come volontario. Li aiutava a praticare lo sport, medicina contro la droga, e aiutava la sua mamma, vedova, con il suo lavoro».
Delgado ha ricordato come nelle stato centroamericano, terminata nel 1999 la guerra civile, molti giovani, che precedentemente avevano lasciato gli studi per combattere nelle fila dei rivoluzionari o dell’esercito, sono stati abbandonati da tutti, e, anzi, sono stati reietti dalla società perché ritenuti pericolosi. «L’unica cosa che sapevano fare è uccidere», ha detto il presule, «e allora si sono uniti fra loro per costituire nuove “famiglie” di malviventi, dove ci si aiuta fino alla morte». Il San Salvador è oggi dominata da queste “maras” e dal narcotraffico, che ha assoldato molti di questi giovani perché aveva bisogno di manovalanza. «William aveva trovato la forza di aiutare questi giovani ed è stato ucciso perché voleva convincerli a cambiare vita». «L’amore», ha poi ricordato, «viene vissuto come minaccia a quello stile di vita, un’alternativa credibile alla delinquenza. Per questo è stato ucciso». L’assassinio di Wiliam può essere considerato come «il “martirio dei pacifici”, come ha detto Andrea Riccardi commemorando il giovane.
Fra le altre testimonianze, significativa quelle di Frank Otfried July, vescovo luterano tedesco, che ha menzionato la recente beatificazione a Lubecca di tre martiri cattolici uccisi dai nazisti nel '43 insieme a un protestante. Una celebrazione ecumenica li ha ricordati tutti e quattro come esempi di fede convinta, come «iniziatori già nel secolo scorso di nuove prospettive nella dimensione dell’ecumenismo, testimonianze credibili che solo l’amore conduce all’unità».
Stefano Stimamiglio