25/02/2013
Foto Reuters.
"Magari
la prossima volta". Rispondono così all'ipotesi del Papa
africano i missionari che l'Africa la vivono ogni giorno da venti,
trenta, quarant'anni. Per loro "è prematuro", perché se è
vero che la Chiesa africana è in crescita, è anche vero che resta
una Chiesa giovane, e di strada ne deve ancora fare. L'Africa ha i
suoi santi, una per tutti, la sudanese Santa Bakhita, ha i suoi Nobel
per la pace, da Kofi Annan a Nelson Mandela, fino all'arcivescovo
emerito di Città del Capo, Desmond Tutu, e ha anche i suoi martiri.
Sono aperte le beatificazioni di Julius Nyerere, presidente della
Tanzania e del camerunese fra Jean Thierry Ebogo, giovane carmelitano
scalzo. Ma il Papato è un'altra cosa.
"I problemi che un Papa
oggi deve affrontare sono enormi - spiega dom Elio Greselin,
dehoniano, dal 2008 vescovo della Diocesi di Lichinga, in Mozambico
-. Non si tratta solo di problemi di natura economica o politica, ma
anche di convivenza fra le nazioni, di rapporti tra fedi diverse, di
dialogo ecumenico, e poi ci sono le questioni teologiche, la
riorganizzazione interna dell'Istituzione Chiesa... Serve una
persona, intanto in buona salute, e poi che abbia un'apertura mentale
assolutamente nuova, che sappia convergere su di sé molte energie
positive, che sappia circondarsi di collaboratori fidati con i quali
poter dialogare e fare opera di discernimento. Penso che l'Africa -
pur avendo personalità autorevoli, molto preparate, come il cardinale
Turkson (ghanese, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e
Pace, considerato uno dei papabili"), che conosco bene per
averlo incontrato più volte - possa aspettare ancora un po'".
"L'Africa
è un continente di fede, dove le messe sono partecipate e il numero
dei sacerdoti in crescita, tanto da poter mandare propri missionari a
supplire alle carenze del vecchio mondo - dice da Bukavu, nella
Repubblica Democratica del Congo, il saveriano padre Giuseppe Dovigo
-. Tuttavia, non bisogna dimenticare che anche gli altri continenti
sono Chiesa universale, in piena trasformazione, e hanno diritto di
parola: l'America Latina, l'Asia... Se non adesso, per l'Africa sarà
la prossima volta. Perciò affidiamoci allo Spirito Santo".
Ma
parlare di Africa significa parlare di un continente di quasi un
miliardo di abitanti e di 54 stati, tutti diversi, per geografia,
clima, paesaggi, risorse, etnie, lingue... Come diceva bene il
giornalista polacco Ryszard Kapuscinski, il nome Africa è più una
convenzione, mentre bisognerebbe parlare di tante Afriche perché
ogni Stato è a sé. E pure l'evoluzione del cristianesimo è diversa
a seconda dei Paesi a cui ci si riferisce.
Anche padre Daniele Moschetti, provinciale dei Comboniani, da Juba, in Sud Sudan, dice che sarebbe meglio passare il turno.
"Credo che alla Chiesa africana serva ancora tempo per maturare". Qui
il cristianesimo fu portato proprio dai Comboniani un secolo fa, ma
permane una forte presenza delle religioni tradizionali. E non
dappertutto le chiese sono piene. "In Mozambico la situazione non è
rosea, anzi, ci sono segnali di grande scollamento tra la professione
della vita quotidiana e la realtà concreta - racconta dom Greselin, che
in Africa ci lavora dal 1966 -. Nella mia diocesi - che è grande
praticamente quanto l'Italia del nord - sulla carta i cristiani sono
230mila, perché tutti vogliono il battesimo, ma solo il 10-12 per cento
frequenta regolarmente la messa e meno ancora sono quelli che
partecipano alle attività pastorali".
"Viviamo in una piccola realtà africana, senza contatti con
l'esterno. Tanto che nessuno avrebbe saputo delle dimissioni del Papa se
non lo avessimo annunciato noi". A parlare sono don Maurizio Bolzon e
don Leopoldo Rossi, fidei donum della diocesi di Vicenza, che operano
nella parrocchia di Loulou, nel nord del Cameroun. "Stiamo ancora
cercando di spiegare alla gente l'atto di Benedetto XVI, perché in
Africa un capo muore capo. Non è immaginabile che un capo si dimetta,
perché il suo ruolo è tutt'uno con la sua persona. Qui a nessuno è
venuto in mente che il prossimo Papa possa essere africano. Per quanto
riguarda me e don Leopoldo, non lo sappiamo davvero se l'Africa sia
pronta a esprimere un proprio Papa. Ci stiamo riflettendo, ma gli
interrogativi sono tanti. Non sarà, in fondo, che il Papa africano
andrebbe bene a tutti nella misura in cui ragiona e agisce esattamente
come farebbe un bianco? La teologia africana si è così emancipata da
quella occidentale? La liturgia africana, tolte le danze e i tamburi, è
così dissimile da quella romana? Sono tutte questioni che ci poniamo".
Ma c'è una voce discordante, che spera nel
Papa africano. "Perché no? Sono in Africa da quarant'anni, e ho visto la
Chiesa crescere in maniera straordinaria. Da oggetto di
evangelizzazione è diventata soggetto di evangelizzazione - afferma suor Teresa Marcazzan, direttrice del Paolines Distribution Centre di Nairobi, in Kenya -.
In Nigeria (da dove suor Teresa ci risponde), per esempio, su 150
milioni di abitanti, ci sono circa 30 milioni di cattolici. Quella
africana è una bella Chiesa vivace, che cresce unita alla Chiesa di
Roma. Ci sono tante personalità di spicco nel mondo ecclesiastico
africano, perciò mi piacerebbe che il futuro Pontefice potesse provenire
proprio da questo mondo; secondo me un Papa africano darebbe ancora più
identità a questa Chiesa che non sempre è apprezzata come dovrebbe
essere".
Romina Gobbo
Romina Gobbo