23/09/2012
Alla fine il “gigante buono” si è arreso. Nella notte tra sabato 22 e domenica 23 settembre, padre Giancarlo Bossi, il missionario del Pime rapito nel 2007 nell’isola di Mindanao (Filippine) è morto nella clinica Humanitas di Rozzano sul Naviglio (Milano), a causa di un tumore ai polmoni. Da tempo lottava contro la malattia, che lo aveva costretto a un soggiorno prolungato in Italia, lontano dalle sue amate Filippine.
Padre Giancarlo era chiamato dagli amici "gigante buono" per la sua notevole statura e la figura imponente (in gioventù aveva anche giocato a basket). Il suo rapimento – ad opera di un commando di estremisti musulmani il 10 giugno 2007 – lo aveva reso noto in Italia e nel mondo. All’indomani del sequestro, infatti, si erano elevate preghiere nonché presentate interrogazioni ai governi per la sua liberazione. Anche Benedetto XVI aveva fatto un appello ai rapitori e pregato per il missionario del Pime. La liberazione di padre Bossi, avvenuta grazie anche alla collaborazione dei Governi italiano e filippino, era avvenuta il 19 luglio dello stesso anno. Alla vigilia di Ferragosto aveva fatto rientro in Italia per essere abbracciato dai familiari e dagli amici.
Nel settembre dello stesso anno aveva portato la sua testimonianza a un raduno dei giovani italiani col Papa a Loreto. Parlando di quei 40 giorni trascorsi insieme ai suoi rapitori - musulmani fuoriusciti dal Milf (Moro Islamic Liberation Front) – aveva speso parole di pace, spiegando di essere stato trattato bene e di aver pregato per loro. «Durante i 40 giorni del mio deserto nella foresta - dice davanti a 300mila giovani - mi sono sentito rinnovare. La mia preghiera è diventata più essenziale e forte. La mia disponibilità a Dio più incisiva. Nelle difficoltà con forza si sperimenta la tenerezza di Dio».
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