06/04/2013
Alcuni bambini che giocano in oratorio
«Ponti tra la Chiesa e la strada». È la metafora, ripresa da un’affermazione di Giovanni Paolo II, utilizzata da monsignor Claudio Giuliodori, presidente della Commissione Cei per la cultura e le comunicazioni sociali, per definire gli oratori in occasione della presentazione, venerdì mattina a Roma, della nota "Il laboratorio dei talenti", il documento pastorale sugli oratori curato dalla Commissione Episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali e dalla Commissione Episcopale per la famiglia e la vita della Conferenza episcopale italiana.
Come tutte le realtà, anche quella degli oratori risente fortemente dei cambiamenti che sta vivendo la società italiana. Non a caso, monsignor Giuliodori ha evidenziato due caratteri di novità: la presenza di molti ragazzi, figli di famiglie immigrate, che provengono da altre culture, da altre confessioni cristiane e da altre religioni, che sono accolti all’interno di una precisa identità; l’attenzione per la cultura della Rete, per giovani che crescono naturalmente connessi e che nell’oratorio possono trovare un luogo che educa ad abitare anche questo ambiente. Un altro aspetto è legato all’attuale crisi.
Crisi e cambiamenti - «L’oratorio», ha spiegato Giuliodori, «non è una attività economica», e dunque «non risente direttamente della crisi», ma è pur vero che in questi tempi difficili «la domanda delle famiglie è fortissima». «C’è stata una stagione, negli anni Settanta, Ottanta e anche inizio Novanta», ha ricordato il vescovo, «in cui lo sviluppo sociale ha fatto nascere tante attività, ma molto parcellizzate, costringendo i giovani a correre per portare i loro ragazzi a far sport, musica, a imparare le lingue. Tante proposte che sono competenze offerte ai ragazzi, ma quello che mancava era l’apporto di una educazione integrale». Oggi, invece, «i genitori si sono accorti che i propri figli sanno fare tante cose, ma fanno fatica a vivere». Di qui il rilancio dell’attenzione all’oratorio, dove «ci sono attività strutturate, ma c’è soprattutto l’attenzione alla persona e alla sua libera espressività». Cresce, insomma, nelle famiglie «l’esigenza di uno spazio a misura di una crescita integrale dei ragazzi».
I talenti - Monsignor Enrico Solmi, presidente della Commissione episcopale per la Famiglia e la vita, si è invece soffermato sui talenti a cui rimanda il titolo stesso della nota. «È la comunità cristiana nel suo complesso che anima l’oratorio: una Chiesa che annuncia il Vangelo ai ragazzi, crescendo e camminando insieme, anche con questa proposta di pastorale giovanile, che si sviluppa secondo una precisa progettualità», ha detto. I "talenti", quindi, sono proprio quelli dell’intera comunità, all’interno della quale i giovani sono destinatari di un’attenzione privilegiata, di «un progetto che ha alle spalle una lunga tradizione, ma che deve essere giocato nell’oggi».
Il contributo - Nel nostro Paese, anche se non esiste un censimento preciso, sono circa seimila gli oratori dotati di strutture organizzate, la metà delle quali si trova nella sola Lombardia. Monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei, ha spiegato che ammonta a circa 210 milioni di euro il contributo che queste strutture, «in termini di servizi e di opportunità», offrono alla «società civile». Per questo, ha spiegato, occorre «sostenere» gli oratori per «ridare visibilità e sostenibilità ai nostri ambienti di periferia e di città. Dietro la ripresa dell’interesse intorno agli oratori non c’è semplicemente un'emergenza, ma la sfida di sempre è quella di offrire un contesto che sia promettente per la relazione interpersonale, in una stagione a forte impatto digitale e quindi debilitata sotto il profilo della fisicità».
L'oratorio, oggi, ha spiegato Pompili, va oltre la «nostalgia di una esperienza fata di polverosi campi di calcio, teatro e musica, amicizie ed escursioni al mare o in montagna», legata all’adolescenza: può essere, invece, «un territorio fisico che insieme alla casa e al quartiere sia un luogo di radicamento, a partire dal quale proiettarsi in un mondo più ampio senza perdere il senso del legame, delle radici, della gratitudine e senza dissolvere l’identità coltivandola grazie alle nuove aperture tecnologiche».
Nosiglia: "Educare alla vita buona del Vangelo" - Sul tema e sull’importanza del documento voluto dalla Cei è intervenuto anche l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia: «Con questa Nota», ha detto, «siamo dunque chiamati a ribadire l’impegno educativo delle nostre comunità nei confronti dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani, riconoscendo e valorizzando i talenti di cui sono portatori, come ben esprime il titolo stesso della Nota. L'oratorio è una via privilegiata per educare alla vita buona del Vangelo, una via da riconoscere, sostenere e incentivare. Ma la Nota si spinge oltre: essa interpella anche le istituzioni civili e tutte le realtà educative attive nei nostri territori, rilanciando la forte rilevanza sociale degli oratori, continuando a offrire e a chiedere collaborazione».
Sulla stessa linea anche don Luca Ramello, direttore dell'Ufficio di pastorale giovanile dell'arcidiocesi di Torino. «Questo documento», ha affermato, «è un dono eccezionale, accolto con stupore e riconoscenza da quanti amano e lavorano con passione nei nostri oratori, nel solco di una tradizione di cinque secoli di storia».
Antonio Sanfrancesco