Pakistan, se la blasfemia è un alibi

Difese Asia Bibi: l’ex parlamentare musulmana Sherry Rehman, oggi ambasciatrice negli Usa, è ora sotto accusa. Nel 2012 sono proseguite le violenze contro cristiani e altre minoranze.

20/01/2013
Una chiesa cristiana bruciata in Pakistan. Tutte le fotografie di questo servizio, copertina inclusa, sono dell'agenzia Reuters.
Una chiesa cristiana bruciata in Pakistan. Tutte le fotografie di questo servizio, copertina inclusa, sono dell'agenzia Reuters.

Non è affatto facile la situazione delle minoranze religiose in Pakistan. Chi non è musulmano continua a subire discriminazioni e aggressioni. Solo nel 2012, poi, nove luoghi di culto sono stati saccheggiati o distrutti. Lo riferisce un nuovo Rapporto della Commissione nazionale “Giustizia e pace” dei vescovi cattolici del Pakistan, che lancia l'allarme per “un preoccupante trend di violenza contro le minoranze religiose”. Nella lista degli spazi sacri danneggiati ci sono cinque chiese, tre templi indù e una moschea della setta islamica degli ahmadi. E, se si considerano gli ultimi quattro anni, i luoghi di culto delle minoranze devastati diventano ben 27.


La Commissione segnala anche altri casi di occupazione abusiva di terreni destinati all'edificazione di templi e persino omicidi di persone impegnate nella costruzione di luoghi di culto. Fra le chiese distrutte nel 2012, tre si trovavano nel Sindh e due in Punjab, due province (una nel Sud, una nel centro del Paese) che costituiscono il cuore pulsante, economico, politico e culturale della nazione. Sono due province ben lontane dalle aree tribali, al confine con l'Afghanistan, dove hanno le basi i talebani pakistani. Tanto più, allora, tali episodi destano timore: indicano che i gruppi talebani hanno esteso il loro raggio d’azione anche ben al di fuori delle loro tradizionali roccaforti. Nei giorni scorsi monsignor Joseph Coutts, Arcivescovo di Karachi, metropoli portuale e capitale del Sindh, ha segnalato con estrema preoccupazione all'Agenzia Fides che i talebani stanno mettendo a ferro e fuoco la città, dove muoiono in modo violento 10-12 persone al giorno. Le radici della violenza contro le minoranze affondano in “un mix di mancanza di buon governo, connivenza e paura” da parte dello stato, sottolinea la Commissione “Giustizia e Pace”. 

Infatti, sebbene la Costituzione del paese difenda le minoranze e garantisca pari diritti, l'azione penale è spesso debole, quando i luoghi di culto delle minoranze vengono attaccati. Le disposizioni vigenti in materia di procedura penale non vengono applicate per assenza di volontà o di coraggio da parte della magistratura, e questo atteggiamento genera l’impunità. Per questo, sostiene Peter Jacob, Segretario della Commissione, gli attacchi si fermeranno fermarsi solo e il Pakistan adotterà una specifica legge sulla “violenza contro le minoranze”, come quella esistente a tutela delle donne. 

Foto Reuters.
Foto Reuters.

Sotto accusa vi sono, dunque, la politica e il sistema giudiziario. Quest’ultimo sta dando segnali contrastanti. Alcuni giorni fa ha ridato speranza alla comunità cristiana l’assoluzione definitiva, nel terzo grado di giudizio, di Rimsha Masih, la ragazza cristiana, disabile mentale, falsamente accusata di aver profanato il Corano. Il suo caso, giunto alla ribalta della cronache internazionali nell'autunno scorso, aveva fatto scalpore divenendo esemplare per raccontare all’opinione pubblica come la controversa “legge di blasfemia” (che punisce con la pena di morte il vilipendio al Corano e al Profeta Maometto) sia di continuo abusata e tirata in ballo per motivi che nulla hanno a che vedere con la religione. Il 15 gennaio scorso la Corte Suprema ha statuito che l’imam che aveva accusato Rimsha aveva detto il falso. E un raggio di sereno ha illuminato una famiglia in pena, tuttora nascosta in un luogo sicuro. 

D’altro canto la magistratura, specialmente nelle corti di primo grado, subisce ancora, in troppi casi, le pressioni dei gruppi estremisti islamici, che condizionano pesantemente la serenità di giudizio. Specialmente quando in ballo vi sono i casi di supposta blasfemia. E’ ancora vivida nella memoria dei giudici e dei cittadini la storia del giudice dell'Alta Corte di Lahore, Arif Iqbal Bhatti, ucciso nel 1997 per aver assolto due cristiani, accusati ingiustamente di blasfemia. E molti pensano che la sorte di quel giudice abbia pesato non poco nel caso di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte con la stessa accusa. Quando nel novembre 2010, il giudice Naveed Iqbal, del tribunale del distretto di Nankana, ha emesso il verdetto di morte, affermando “l’assenza totale di attenuanti”, il mondo intero gridò allo scandalo. E anche Papa Benedetto XVI lanciò un appello per il suo rilascio. Perché Asia, come affermarono il ministro cattolico Shabaz Bhatti e il governatore Salman Taseer – entrambi assassinati per aver preso le sue difese – è del tutto innocente e le accuse a suo carico sono strumentali e inventate. 

Oggi Asia, moglie e madre di cinque figli, uno disabile, si trova nel carcere di Shehikupura, confinata in una cella di due metri per due. Dopo oltre 1300 giorni di ingiusta detenzione, è in condizioni di isolamento e di prostrazione fisica e mentale. Sorretta da una fede incrollabile, che non ha voluto abbandonare nemmeno in cambio della libertà, quando subdole proposte di conversione all’islam potevano facilmente dare una svolta alla sua storia e restituirla alla famiglia. L’istanza di ricorso è stata presentata all’Alta Corte dei Lahore, ma il paradosso è che nessun magistrato finora ha voluto prendere in mano un “caso tanto bollente” e indire la prima udienza del processo di appello. La pratica è ferma da oltre un anno e Asia languisce fra le mura di una cella. 

Foto Reuters.
Foto Reuters.

A ravvivare il dibattito sulla "legge nera" è giunta, poi, in questo gennaio 2013,  la notizia che Sherry Rehman, parlamentare musulmana liberale del Pakistan People’s Party, oggi ambasciatrice pakistano negli Stati Uniti, sarà processata per blasfemia: lo ha deciso la Corte Suprema, dopo il ricorso di un commerciante di Multan.  La donna fu denunciata nel febbraio 2011 per aver difeso Asia Bibi e per aver presentato al Parlamento pakistano e per aver spiegato in un talk-show in tv una proposta di modifica della legge sulla blasfemia, al fine di prevenirne gli abusi. La proposta era poi stata ritirata e un tribunale di Multan aveva scagionato la Rehman. 

Ora invece la Corte Suprema si è pronunciata per l'ammissibilità delle accuse. Gli estremisti intendono far passare l’idea di definire “blasfemo”, e dunque di poter incriminare, chiunque si opponga o metta in discussione alla legge sulla blasfemia. Intanto vi sono oggi in Pakistan altri 36 casi di condannati per blasfemia: 16 persone sono nel braccio della morte, in attesa di esecuzione; altri 20 imputati stanno scontando l’ergastolo. Molti altri sono in attesa di processo o hanno fatto appello dopo una condanna in primo grado, come Asia Bibi. Padre Bonnie Mendes, sacerdote di Faisalabad, fa notare che «la legge sulla blasfemia è ancora in vigore così com’è, nonostante gli abusi ben documentati». La legge, ha spiegato padreMendes all’Agenzia Fides, ha il “cieco sostegno di alcuni zelanti leader musulmani” e ha visto “alcune anime coraggiose in Parlamento tentare di modificarla, per evitare i possibili abusi o per dare garanzie contro false accuse, che spesso hanno indotto l’esecuzione sommaria degli accusati, per mano di folle di estremisti”. Alla politica si chiede “l’impegno a risolvere un nodo, quello della blasfemia, che nel paese causa tante tragedie”. 

Ma la politica pakistana sembra sorda e presa da tutt’altre faccende. Con le elezioni parlamentari alle porte (le Camere saranno sciolte entro il 16 marzo e il voto indetto entro 90 giorni), tutti i partiti pensano a guadagnare il sostegno dei leader islamici più influenti. Nessuno si sognerebbe di fare promesse sul delicato tema della blasfemia, introdotta vent’anni fa, senza alcun passaggio parlamentare, dal dittatore Zia-ul Haq proprio per compiacere i gruppi integralisti. “Grandi manovre” scuotono la scena politica. Tahirul Qadri, leader dell’organizzazione caritativa islamica “Tehreek-e-Minhajul Quran” (“La via del Corano”) ha guidato una “lunga marcia” di migliaia di persone sulla capitale Islamabad, stigmatizzando la corruzione dilagante. Il movimento populista ha accerchiato per giorni il parlamento e ha strappato al governo la “Dichiarazione di Islamabad” che ribadisce l’urgenza di riforme costituzionali e di un processo elettorale trasparente.

Contemporaneamente alle manifestazioni, la Corte Suprema ha chiesto l'arresto del primo ministro Raja Pervez Ashraf, accusato di aver intascato tangenti quando guidava il ministero delle risorse idriche e dell'energia. A tingere di giallo la vicenda, un ufficiale di polizia che indagava su Premier è stato trovato morto in circostanze misteriose. Il timore è che la piazza, fomentata da sentimenti religiosi, misti a nazionalismo e demagogia, possa essere foriera di un golpe militare, in una terra dove i generali hanno sempre contato molto sulla politica. In questo delicato frangente, padre Yousaf Emmanuel, direttore della Commissione nazionale “Giustizia e Pace” ha ribadito: «La modalità con cui si pongono tali questioni non può essere la piazza. La corruzione è un problema serio, tutti la critichiamo e ci sono movimenti nella società civile che da anni la combattono, con l’educazione delle coscienze”. Invitando a “seguire la Costituzione, piuttosto che agitare la masse”, p. Emmanuel mette in guardia da azioni che “potrebbero portare all’anarchia». «Il movimento di Qadri – ribadisce – ha coagulato migliaia di persone perché c’è crisi economica. Alla gente mancano elettricità, acqua, gas. Molti cercano di sfruttare il malcontento per il proprio tornaconto elettorale. In questo momento di tensione e incertezza, non possiamo che dire: diamo una chance alla democrazia in Pakistan».

Paolo Affatato
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