16/02/2013
Benedetto XVI sul Monte Nebo durante la visita in Terra Santa del 2009 (Reuters).
«Qui, forse più che altrove, lo
sconcerto per la notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI è stato grande.
Perché nel mondo cristiano orientale l'istituto delle dimissioni non è
contemplato, il patriarcato è a vita. Tuttavia, dopo un primo momento di sorpresa,
tutti si sono resi conto della grandezza, dell'umiltà di questo gesto». Padre
Pierbattista Pizzaballa, francescano, Custode di Terra Santa dal 2004, riassume
così le reazioni “a caldo” nella Terra di Gesù, dopo questo evento di portata
storica.
- Padre, come stanno i cristiani di Terra
Santa?
«Se con Terra Santa, intendiamo Israele
e Palestina, direi che la situazione non è rosea, ma rispetto al resto del
Medio Oriente non possono lamentarsi. Diciamo che è un momento più sereno di
altri».
- Di tutta la regione mediorientale, la
crisi siriana è quella che spaventa di più. Una suora è stata uccisa da un
missile, due sacerdoti rapiti sulla strada da Aleppo a Damasco. Sembra che i
cristiani siano particolarmente presi di mira.
«In Siria la situazione è catastrofica,
e durerà ancora a lungo, con conseguenze molto gravi. I cristiani, come tutte
le minoranze, soffrono particolarmente. Ma c'è una grande confusione.
L'opposizione è molto frantumata, c'è quella moderata, c'è quella islamica,
quella fanatica, oltranzista, tutto dipende dalle mani in cui cadi. E poi ci sono
le mafie, il mercato nero, chi cerca di approfittare. Non è facile distinguere.
Per quanto riguarda la suora, è stata colpita assieme ad altre sedici persone,
questo esclude che lei fosse il bersaglio. Certo, in alcune zone, in alcuni
villaggi, ci sono persone che prendono di mira i cristiani, ma non ritengo che
sia qualcosa di sistematico».
- Come sono i rapporti con i musulmani, le
cui posizioni un po' in tutto il Medio Oriente si stanno radicalizzando?
«La partita con i musulmani c'è e
bisogna giocarla. I musulmani non sono tutti oltranzisti, fanatici, ma ci sono
pure quelli, penso ai salafiti per esempio. Di fronte alle situazioni
difficili, i cristiani, oltre a denunciare, hanno due possibilità: o andarsene,
e questa, secondo me, non è un'opzione, o restare e prendere atto dei
cambiamenti che stanno avvenendo. Bisogna dialogare con la parte moderata.
Lamentarsi, gridare, serve fino a un certo punto, va bene denunciare, ma poi
bisogna essere molto concreti. Qui siamo, qui dobbiamo restare e in questo
contesto dobbiamo lavorare. Serve il dialogo fra i credenti, ma quelli veri. Un
dialogo che si sviluppi a partire dai bisogni comuni: il lavoro è un problema
di tutti, la guerra è un problema di tutti, e poi bisogna fare fronte comune
sui temi della cittadinanza, dei diritti umani, della vita, della tolleranza,
della libertà».
- E i rapporti con gli ebrei? Anche loro
stanno esprimendo una religiosità sempre più ortodossa.
«Anche qui non bisogna generalizzare.
Dalle recenti elezioni, ci si aspettava uno spostamento a destra radicale.
Invece, la destra ha vinto, ma di poco. La società israeliana è molto
articolata, molto più complessa di quello che appare. I problemi ci sono, ma il
dialogo c'è, va creato il giusto contesto».
- Come Ordine dei Frati Minori siete in
Terra Santa dal 1200. Che cosa significa essere custode del luogo da dove tutto
è cominciato?
«Quando san Francesco arrivò in Terra
Santa, non c'erano santuari degni di questo nome. I francescani sono passati
dal Cenacolo, acquistato per loro dai Reali di Napoli nel 1330, alla cura di
cinquanta Santuari, molti dei quali affidati a loro dal Patriarcato di
Gerusalemme e che si trovano, oltre che in Israele e Palestina, in Giordania e
Siria. Custodire, quindi, è un “talento”. Custodire è riscattare i Luoghi
santi, restaurarli, studiarli, e soprattutto in quest’ultimo secolo,
ricostruirli, non solo per dovere di manutenzione, ma anche per ridare a ognuno
la propria storia, valorizzandone i resti archeologici, esaltandone la memoria
evangelica che contengono. La fede degli antichi ha passato un testimone fatto
di emozioni e di ricordi, di protezione e di nostalgia, che ha attraversato
indenne guerre e occupazioni, scorribande di predoni e lotte fra clan, perché
più forte di tutto è stato l’amore per il Figlio dell’Uomo, che è nato qui, in
questa Terra che è santa».
Padre Piazzaballa con il Papa a Gerusalemme nel 2009.
- Che cosa è richiesto oggi ai cristiani che vivono là?
«È richiesta loro una duplice fedeltà: a Dio e alla Terra. E non è cosa da poco, se pensiamo che la storia recente è una storia di emigrazione e di lutti. Come comunità cristiana che vive in Terra Santa dobbiamo riscoprire di essere e vivere nei luoghi delle origini. Perché noi siamo e viviamo la memoria viva dell’Incarnazione, che non è soltanto avvenuta nel tempo, ma anche in uno spazio. Abitare con vitalità quello spazio è vocazione e servizio alla Chiesa intera. La fedeltà alla Terra come occasione di evangelizzazione, di preghiera, di punto fermo dell’identità cristiana di Terra Santa; un andare oltre le difficoltà, per saperle affrontare meglio, consapevoli che nulla è impossibile a Dio».
- Lei ha detto meno Chiesa stato sociale e più Chiesa testimone. Ci spiega meglio questa affermazione?
«Il mondo ha bisogno più di testimoni che di maestri. E se un maestro non è innanzitutto un testimone, non risponde al bisogno della gente, dei giovani in particolare. Che opere pretendiamo di fare, se non siamo testimoni credibili di ciò che professiamo? Dobbiamo farci responsabili di ciò che crediamo: davanti a noi stessi, davanti a Dio, davanti alla gente».
- I pellegrinaggi hanno risentito delle varie crisi?
«C'è stata una pausa durante la crisi di Gaza, ma siamo in ripresa. Questo è un periodo dell'anno poco praticato, ma le prospettive sono buone».
- Qualche tempo fa chiesi a padre Severino Lubecki, direttore di Casa Nova, da quanto tempo era in Terra Santa, e lui mi rispose: “da troppo”. Lei è a Gerusalemme dagli anni Novanta, un bel pezzetto di vita. È faticoso vivere in questi luoghi?
«È faticoso, però una volta preso il virus, non guarisci più».
Romina Gobbo