10/01/2013
L’ottavo e ultimo libro di Enzo Bianchi è allegato al numero 2 di Famiglia Cristiana, da giovedì 10 gennaio a 2,90 euro in più.
Enzo Bianchi dedica il suo ultimo
appuntamento con i vizi
capitali a vanagloria e orgoglio.
E ci fa notare che se ingordigia e lussuria
– la prima coppia di vizi da cui eravamo
partiti – soddisfano il nostro piacere fi -
sico, vanagloria e orgoglio sono vizi ben
peggiori poiché riguardano la sfera della
psiche. Potremmo defi nire la vanagloria
come l’arte di farsi belli agli occhi propri
e altrui. L’icona della vanagloria è
una donna allo specchio così come ce la
rappresenta il pittore fi ammingo Hieronymus
Bosch. O un bel giovane innamorato
della propria immagine come il
Narciso di Caravaggio (1599). Ma non
solo le donne e i giovani si lasciano tentare
dal vizio della vanità. Nella nota fi aba
di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore
anche il sovrano si pavoneggia davanti
ai suoi sudditi. E non si accorge di essere
nudo. Beff ato, nella sua vanagloria, da
due sarti imbroglioni.
La caduta di Icaro di Marc Chagall (foto Scala).
VANITÀ DELLE VANITÀ. Il vanaglorioso cerca
l’applauso e il consenso altrui. Già all’epoca
dei Comuni la vanagloria vestiva i
panni dell’allegoria del Cattivo Governo
nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti
(Siena, Palazzo pubblico). Molti pittori
esprimono la vanità e i lussi effi meri delle
grandi corti italiane ed europee. Nel
Cinquecento Mantegna alla corte dei
Gonzaga (Mantova, Camera degli sposi.
Nel Seicento Velasquez in Les Meninas
(1656) ci mostra alla corte spagnola di
Filippo IV l’inchino di una bambina damigella
a un’altra bambina, l’Infanta
Margherita. Nel Settecento infi ne il
pittore neoclassico Ingres celebra con due ritratti la magnificenza del Re Sole e
dell’imperatore Napoleone Bonaparte.
Potremmo battezzare la vanità come “la
sindrome del pavone”. Ma ben sappiamo
che questo animale per i primi cristiani
è simbolo di risurrezione. Pavoni
a parte, la trappola della vanità è sempre
in agguato. La vanagloria può vestirsi
da falsa carità come quella un po’ impicciona
di donna Prassede verso la povera Lucia Mondella nei Promessi sposi, il capolavoro
di Alessandro Manzoni.
L’ASSALTO AL CIELO. Dall’orgoglio alla superbia
il salto è breve. Il più grave peccato fu
quello degli angeli superbi che si ribellarono
a Dio come nell’aff resco Caduta
degli angeli ribelli di Giovanni Odazzi
(1663-1731) che si trova a Roma, sulla volta
della chiesa dei Santissimi Apostoli. Altro spirito esprimono figure mitologiche
come Prometeo, Icaro e Ulisse. Qui
si tratta dell’istinto che spinge gli uomini
a superare i propri limiti. La sete di conoscenza,
per esempio, spinge Ulisse nel
suo «folle volo» (Inferno, canto XVII)
oltre le colonne d’Ercole. E l’immagine
di Icaro che vola verso il sole è usata da
Marc Chagall nella sua Caduta di Icaro
(1974-1977) per rappresentare le aspirazione
più sublimi dell’arte.
C’è una sola arma infallibile contro l’orgoglio:
l’umiltà. Se l’orgoglio è il padre
di tutti i vizi, l’umiltà è la madre di tutte
le virtù. Ce lo mostra nel Settecento Tiepolo
nel suo aff resco L’umiltà scaccia la
superbia (Vicenza, Villa Loschi). Già nel
Magnificat, d’altronde, Maria così canta
l’azione del Signore Dio: «Ha spiegato
la potenza del suo braccio, ha disperso
i superbi nei pensieri del loro cuore; ha
rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato
gli umili» (Luca 1,51-52) .
Alfredo Tradigo