25/09/2011
Non è infrequente, per esempio all’interno di un dibattito sulla realtà dell’immigrazione e i problemi di una società multietnica, sentir pronunciare il termine “meticciato”. Pochi, forse, sanno che l’espressione è stata coniata dal cardinal Angelo Scola. Più volte nei suoi interventi pubblici e nei suoi scritti il neo-vescovo di Milano ha dato saggio di saper creare espressioni nuove capaci di attecchire nel linguaggio culturale e riemergere nel dibattito etico-religioso del nostro Paese. Ecco di seguito alcuni tra i più fortunati neologismi ed espressioni ‘scoliane’ che sono diventate di uso comune e che mettono in luce il pensiero antropologico dell’arcivescovo di Milano.
METICCIATO. E’ il fulminante neologismo che riassume quel processo “esplosivo, violento e doloroso” che è il mescolamento inedito tra popoli e culture diverse in atto nelle nostre società e che impone la necessità di approfondire la conoscenza dell’Islam. Ricorda Scola: “Alcuni anni fa, durante un’intervista sui temi dell’immigrazione, rispondendo a una domanda mi venne in mente questa espressione decisamente forte del “meticciato di civiltà e culture”. Avevo presente l’esperienza di un viaggio in Messico, dove si percepisce chiaramente come questo Paese sia nato dalla fusione di etnie diverse, seppure attraverso non poca violenza, e come lo stesso Dna del popolo messicano sia, appunto, meticcio”. “Quando parlo di meticciato”, ha spiegato il cardinale in una recente intervista a Famiglia Cristiana, “non intendo un progetto politico da perseguire, ma un processo in atto, davanti agli occhi di tutti; una congiuntura da orientare. Dico questo perché il termine rischia di scandalizzare qualcuno, evocando fenomeni come quello del sincretismo. Per me è un orizzonte che spiega questa grande mutazione sociale che provoca il cristiano ad andare fino in fondo alla verità della propria esperienza. Accettare tale processo significa accettare la storia; è ciò non vuol dire abbandonare il proprio volto, la propria identità, ma essere provocati a darsi e dare le ragioni del nostro essere cristiani”.
L’IO IN RELAZIONE. Per non essere solo “un esperimento di se stesso”, come ha affermato un filosofo della scienza tedesco, l’uomo deve porsi come “io in relazione”, che è secondo Scola “l’unica concezione compiuta dell’io”. E’ la prospettiva antropologica che nasce dall’esperienza umana comune: rivela che l’altro/gli altri non sono una “mera aggiunta dell’io”, ma un dato a lui originario. Il dato incontrovertibile è che la personalità di ciascuno è immersa in una trama di relazioni: la realtà relazionale è incoercibile. Fin dal grembo di sua madre ogni uomo, come figlio o come figlia, è situato in una relazione costitutiva. La sua stessa nascita, per quanto possa essere manipolata in laboratorio, custodisce il mistero dell’alterità: nessun uomo potrà mai auto-generarsi. Anche se tra cento anni dovessimo essere in grado di clonarci, il clone avrà una sua identità e non verrà generato partendo da se stesso. Non c’è un io, insomma, se a fianco e prima non vi fosse un tu che lo riconosce. Pertanto, conclude Scola, “le sfide sono a livello antropologico, sociale, cosmologico ed ecologico, e sono le sfide alle quali è chiamata a rispondere tutta l’umanità. La Chiesa di Cristo rappresenta la presenza di un Dio incarnato. Essa si è occupata e continua a mettersi in relazione con gli uomini, e dunque deve rispondere a questo genere di sollecitazioni”.
CRISI GENERAZIONALE. E’ il nome che Scola dà alla vera crisi dell’Occidente. Oggi nelle nostre società è in declino l’idea e la responsabilità del “generare”, dove il verbo non deve essere inteso solo nell’accezione del “procreare”, ma anche del “comunicare”, trasmettere, cioè, quei valori costitutivi del quotidiano in cui si vive. In crisi oggi sono, in altri termini, il senso del compito, della re-sponsabilità, il prepararsi al lavoro, il significato del dolore, della sofferenza, tutto quanto fa parte della cosiddetta “vita buona”. “Bene e male li imparo vivendo relazioni buone: lo imparo dal papà e dalla mamma. Mi fa accettare il compito”, afferma Scola. E qui secondo il cardinale tocchiamo la vera “malattia dell'Occidente”, cioè l'affermazione individualistica dell'identità personale. “La grande tentazione di oggi è concepirsi come qualcuno che non è generato e non si lascia generare. Più dell'esperienza della paternità, manca l'esperienza della figliolanza. Se uno non si concepisce dentro la differenza delle generazioni, avviene una frattura e alla fine uno crede che la libertà sia affermare ciò che lui reputa essere il bene per lui in quel momento. E' l'individualismo neutro, la scelta per la scelta, non più riferimento al bene e al male. Ecco perché la Chiesa italiana sta battendo fortemente sul tasto dell'emergenza educativa”.
BELL’AMORE. E’ uno dei temi più cari al ex-patriarca di Venezia. E’ la via cristiana dell’amore, “conveniente” a tutti gli uomini perché propone una relazione che risponde al bisogno di ogni essere umano di essere amato definitivamente, e in cui trovano senso i concetti di castità e sacrificio. “Essa indica un percorso di vita che conduce a quella soddisfazione e a quella gioia cui il desiderio rettamente inteso spalanca l’uomo”. “Mi pare che l’idea biblica del ‘bell’amore’, che la tradizione cristiana ha approfondito, sia particolarmente adeguata proprio per la sua capacità di coniugare l’amore alla bellezza, di vederlo scaturire da essa e percepirlo come “diffusivo” di bellezza, capace di farla splendere sul volto degli altri. San Tommaso parla della bellezza come dello ‘splendore della verità’; per Bonaventura colui che contempla Dio, cioè che lo ama, è reso tutto bello. Ma questa capacità spesso manca nell’esperienza sessuale degli uomini e delle donne di oggi. Viverne la bellezza significa strappare la sessualità al dualismo tra spirito e corpo; come se trattenessimo la sessualità nell’animalesco e poi a tratti avessimo spiritualissimi slanci d’intenzione di bell’amore. Pascal diceva che l’uomo è a metà strada tra l’animale e l’angelo, ma deve stare bene attento a non guardare solo all’uno o all’altro; ognuno di noi, inscindibilmente uno di anima e di corpo, ha da fare i conti con la dimensione sessuale del proprio io per tutta la vita, dalla nascita fino alla morte”.
NUOVA LAICITA’ Rispetto al vecchio concetto di laicità, ridotta a mera neutralità dello Stato, in cui il criterio assoluto indiscutibile è il “vietato vietare”, oggi si impongono, secondo Scola, nuove forme di relazione e riconoscimento tra persone e comunità intermedie (dalla famiglia, all’associazionismo, ai gruppi organizzati). Ognuno, cioè, da civis, è chiamato a esprimere la sua idea di “vita buona” in sana competizione dialogica con le altre. E se non lo fa toglie qualcosa di prezioso a questa società. “Se io mi permetto di esprimere la mia idea buona di famiglia, commetto forse un' invasione di campo? Io dico la mia idea, tu dici la tua; poi il popolo sovrano, direttamente o attraverso i suoi rappresentanti, in base alla storia, alla cultura, prenderà le sue decisioni. E lo Stato non può pretendere di piegarmi a un' idea di neutralità in cui le soggettività personali e quelle dei corpi intermedi non si esprimano. Lo Stato deve garantire che queste soggettività non abbiano privilegi; ma sarebbe una diminutio della densità democratica della società chiedere a qualcuno di non far valere democraticamente la propria posizione. Altrimenti questa neutralità finisce col diventare puro formalismo. Lo Stato laico, dopo il confronto tra le parti e dopo che il popolo sovrano si è espresso, è tenuto ad assumere il risultato”.
Alberto Laggia