15/02/2013
Padre Bartolomeo Sorge (foto Palazzotto).
La rinuncia di Benedetto XVI è stata accolta da un coro unanime di approvazione per il coraggio e l'umiltà con cui il Papa ha confessato la sua fragilità. In molti, però, la notizia ha causato turbamento: può un Pastore abbandonare il gregge perché è stanco? Non l'hanno fatto gli altri pontefici, né i martiri, né i missionari, né tanti servi dei poveri, che hanno scelto di morire sulla breccia. Gesù non è sceso dalla croce. Perché Papa Ratzinger sì?
La Lectio divina, tenuta l'8 febbraio al Seminario Romano, ci fa conoscere le ragioni profonde del gesto, al di là di quelle ufficiali. Infatti, poche ore prima dell'annunzio, il Papa ha sentito il bisogno di richiamare l'attenzione sul ministero petrino, sul futuro della Chiesa e sulla necessità di una fede adulta. L'ha fatto commentando tre parole, contenute nei versetti iniziali della prima lettera di Pietro, con riflessioni dal chiaro sapore autobiografico. La prima parola riguarda il pontificato, definito «martirio». Gesù l'aveva detto a san Pietro: il «primato», accanto al contenuto dell'universalità, ha un contenuto martirologico: «Andando a Roma, Pietro accetta […]: va verso la Croce, e ci invita ad accettare anche noi l'aspetto martirologico».
Per Ratzinger, fare il Papa è stato un martirio. Non è difficile credergli. Basta ricordare solo alcune spine del suo pontificato, tra le più pungenti: lo scandalo dei preti pedofili, i guai finanziari della Santa Sede, i veleni della Curia Romana, le divisioni nella Chiesa. La seconda parola riguarda l'«eredità», il futuro della Chiesa: essa «non è un albero morente […]. La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre». Il volto di ogni nuovo papa porta con sé un volto nuovo di Chiesa. Paolo VI rifletté il volto dialogante della Chiesa del Concilio; Giovanni Paolo II trasmise al mondo il volto di una Chiesa «trionfante», quale egli sognava per il terzo millennio; Benedetto XVI mostra il volto di una Chiesa «stanca», come egli stesso la definì nel dicembre 2011 parlando della Chiesa in Europa. Una Chiesa ferma – specificò il card. Martini –, «rimasta indietro di 200 anni». C'era bisogno, a questo punto, di un volto nuovo di Chiesa e di un Papa nuovo.
La terza parola riguarda la necessità di una «fede» matura. La Chiesa potrà rinnovarsi solo grazie a una fede matura. Su questo punto Benedetto XVI ha sempre insistito, dall'inizio del pontificato fino all'indizione dell'Anno della fede. Gli saremo perennemente grati per averci insegnato con la sua rinuncia ad avere fede nel futuro, in un volto rinnovato di Chiesa, al di là delle contraddizioni che in questi anni ne hanno frenato il cammino. In fondo, sta qui la vera lezione delle dimissioni di Papa Ratzinger: consentire alla Chiesa, di guardare con fede al futuro, di condurre a termine l'«aggiornamento» conciliare. Perciò, toccherà al nuovo Papa superare i dubbi diffusi sulla riforma liturgica, riaffermare il valore del Concilio, senza sminuirlo per renderlo accettabile a chi lo rifiuta, ravvivare il dialogo ecumenico e interreligioso, affrontare sul piano pastorale (e non solo in via di principio) temi che non si possono più rinviare: la collegialità, la valorizzazione dei fedeli laici, le prospettive aperte dalla crisi della famiglia e dall'applicazione delle nuove tecnologie alla medicina e alla vita umana.
Non ci dobbiamo spaventare! Non è la prima volta che la Chiesa è provata e stanca. Come in passato, anche l'affanno presente non è il travaglio dell'agonia, ma quello del parto. Siamo alla vigilia di una nuova e feconda stagione cristiana.
Bartolomeo Sorge S.I.