26/05/2010
Un'agente della polizia thailandese con uno dei contadini che hanno partecipato alle proteste delle scorse settimane nel centro di Bangkok.
«Non ci sono né vincitori né vinti e dunque bisogna intraprendere subito il processo di guarigione delle ferite subito dalla società». L’appello dei vescovi della Thailandia arriva perentorio a una settimana dai violenti scontri tra le “camicie rosse” e l’esercito thailandese con un bilancio drammatico di morti e feriti. I vescovi sottolineano che la calma relativa subentrata agli scontri può aprire uno spazio di confronto: «Sebbene sia difficile allontanare la rabbia e il dolore tra la popolazione il processo di ricomposizione dell’unità della nazione deve essere riavviato in tempi brevi».
Il presidente della Conferenza episcopale del Paese, il vescovo Louis Santisuknairan, spiega che dietro la crisi c’è la diffusa percezione di ingiustizia sociale e di corruzione avvertita da larghi strati della popolazione: «I disordini affondano le radici in problemi di giustizia sociale. Parte della gente lamenta disuguaglianze e disparità». E aggiunge: «La questione della corruzione in Thailandia è un problema serio, che impone con urgenza la questione della moralità e della responsabilità tra governanti e leader politici».
I vescovi in particolare citano le difficoltà delle popolazioni rurali, le cui terre sono oggetto di sfruttamento da parte delle grandi multinazionali. Lo conferma Rungtip Imrungruang, dirigente della Ong ActionAid: «In Thailandia si vive come 40 anni fa. Siamo di fronte a problemi strutturali». La Chiesa ha avviato un programma di formazione dei laici cattolici impegnanti nell’amminsitrazione pubblica, per combattere la corruzione e per insegnare a loro i fondamenti della Dottrina sociale della Chiesa. L’obiettivo è insegnare a tutti le regole della democrazia e l’uguaglianza sociale. Ciò che preoccupa è tuttavia la corruzione, che è una pratica diffusissima in Thailandia e coinvolge anche molti cattolici.
Sullo sfondo degli scontri dunque c’è un quadro assai drammatico. I cattolici, una percentuale molto modesta della popolazione, riescono a tratteggiarne i contorni con realismo. E sono gli unici a parlare di processo di pacificazione, oltre le opposizioni ideologiche tra i vari leader in gioco. Spiega Parinda Vapikung, membro della “Catholic Commission for Justice and Peace”: «Gli edifici e le strade possono essere riparati. Ma dobbiamo occuparci di quanto tempo occorrerà a riparare le ferite dei cuori. In ogni caso noi cattolici daremo il nostro contributo».
Alberto Bobbio