Generazione 2.0, tra speranze e paure

Incontro con don Luca Peyron, delegato alla Pastorale universitaria dell’Arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia: «Deve passare un concetto forte e chiaro: vale la pena diventare grandi».

22/10/2012
Don Luca Peyron, con alcuni giovani universitari in un viaggio a Lourdes.
Don Luca Peyron, con alcuni giovani universitari in un viaggio a Lourdes.

Quando Steve Jobs cominciava a scalare le prime vette del mercato, emanavano i primi vagiti. Per loro il mondo precedente alla caduta del Muro di Berlino è semplicemente preistoria. Ma chi sono i giovani di oggi, coloro che navigano tra i 18 e i 30 anni. Da ‘bamboccioni’ a ‘generazione perduta’ si è fatto a gara per definirli.
Ma se è vero quel proverbio inglese, secondo il quale “bisogna assaggiare il budino per sapere chi è buono”, allora solo chi li frequenta ogni giorno può fornirci un’idea di questi ragazzi. È il caso di don Luca Peyron, nominato recentemente delegato alla Pastorale Universitaria dall’’Arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia. Tra le sue funzioni, don Luca svolge quella di assistente spirituale degli studenti, condividendone pensieri, sogni e stati d’animo

- Don Luca, partiamo dalla domanda più spontanea: che cosa fa l’assistente spirituale?

Il compito fondamentale è l’ascolto. Nasce un rapporto di amicizia che prevede dialogo, scambio di opinioni, richiesta di consigli. Alla base c’è il desiderio delle persone, in questo caso i giovani universitari, di compiere un cammino spirituale.


- Se lei dovesse scattare una fotografia delle nuova generazione, quale ritratto ne viene fuori?

Faccio una piccola premessa: quando parliamo di giovani a volte proiettiamo su di loro un po’ delle nostre fatiche e dei nostri fallimenti. Li dipingiamo di grigio perché noi siamo un po’ grigi. La realtà è un’altra. I giovani di oggi sono come i giovani di tutte le stagioni: persone con sogni, speranze, illusioni. Certamente, l’attuale generazione risente dei tempi in cui viviamo: da qui il timore del futuro e la consapevolezza di doversi confrontare con un modo difficile e complicato.  Questi giovani hanno però risorse che forse non sanno nemmeno di avere.

 

- Secondo lei perché non sanno di avere queste risorse?

Perché gli adulti e i media continuano a parlare di una generazione appiattita su se stessa.

- Qual è il rimedio?

Noi adulti dobbiamo dare l’esempio con esperienze di vite vere, anche se sofferte. Deve passare un concetto forte e chiaro: vale la pena diventare grandi. Occorre accettare le sfide, a costo di andare incontro a possibili sconfitte.

 

- Stiamo vivendo tempi di crisi e di insicurezza: come percepiscono questo periodo le nuove generazioni?

Questo tempo è il loro tempo. Vede, a differenza di noi adulti, non hanno un termine di paragone con il passato. Questo è un vantaggio: qui ed ora devono costruire la loro vita. Pur con tutte le ansie, le assicuro che i giovani sono più allenati di quanto si pensi. Hanno voglia di vivere, di lottare.

 

- Non è vera, quindi, la storia dei ‘bamboccioni’?

Il problema sta nel fatto che si ragiona sempre per cliché. Ci saranno anche i “bamboccioni”, ma non bisogna generalizzare: ci sono stati anche nelle generazioni precedenti. Attenzione, quindi, a non fare delle caricature che non c’entrano con la realtà. Io avverto invece un altro fenomeno.

 

- Quale?

La mancanza di educazione. Mi spiego meglio: l’assenza di punti di partenza, di orizzonti saldi all’interno dei quali collocare e far crescere la propria esistenza. Se forniamo loro questi elementi – e qui sta il nostro sforzo educativo – i ragazzi si mettono in gioco e trovano la forza di tirar fuori le loro potenzialità.

 

- Per concludere, alcune domande flash sul rapporto con una serie di valori fondamentali. I giovani e la politica?

Se parliamo della politica nei suoi canali istituzionali, il rapporto non può essere che quello di un totale disinteresse, visto il discredito in cui questo tipo di politica è caduto. Al contrario, se per politica si intendono forme come l’associazionismo, la partecipazione attiva alla vita della propria comunità si assiste a un coinvolgimento dei ragazzi. Questa dimensione suscita impegno, entusiasmo, vitalità.  Quando la politica è servizio i giovani rispondono positivamente.

 

- I giovani e la famiglia?

Credo che abbiano un senso profondo della famiglia. Molti sono cresciuti in famiglie spesso ferite e quindi sognano la famiglia che non hanno avuto. In generale si avverte il bisogno di legami stabili anche se c’è il timore di affrontarli. Superare questo timore fa parte del cammino spirituale che condivido con loro per educarli alla responsabilità. Da questo punto di vista, mi piace sottolineare il legame fortissimo con i loro nonni, nei quali vedono quella solidità che forse non hanno trovato nelle figure genitoriali.

-I giovani e l’amore?

Un giovane fa tutto per amore. Rispetto alla generazione precedente, vivono questo sentimento in modo più pulito. Magari hanno consumato in fretta le prime esperienze da giovanissimi, ma passata questa fase vivono il rapporto tra uomo e donna con consapevolezza e sentono l’esigenza di un rapporto stabile, adulto. In questo senso si ritrova il desiderio di pulizia in amore.

 

- I giovani e la fede?

“Il desiderio di Dio è iscritto nel cuore” dell’uomo come diceva San Tommaso. I giovani sono religiosi, anche se molte volte si sentono lontani dalla religiosità istituzionale. Tuttavia se entrano in contatto con persone che vivono autenticamente la fede sono pronti a seguirli, siano essi preti, suore o laici. Ho avuto molte esperienze di ragazzi che si sentivano estranei, un po’ arrabbiati con la Chiesa, ma attraverso l’incontro e il dialogo è emerso quel bisogno di dare una risposta alle grande domande della vita. E questa ricerca porta a Gesù e al suo messaggio.

Giorgio Trichilo
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