17/10/2011
Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei). Foto: Ansa.
In un momento di crisi i cristiani non possono diluire la propria presenza. Anzi “l’assentetismo sociale per i cristiani è un peccato di omissione”. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, apre a Todi il convegno di tutte le organizzazioni cattoliche sulla politica e il bene comune, con una lunga relazione nella quale non accenna mai ad alcun nuovo partito cattolico, né a nostalgie di sorta, ma spiega con chiarezza che l’impegno deve essere prima culturale per ridare visibilità pubblica alla fede e per sostenere i “principi non negoziabili” e le parole chiave della dottrina sociale della Chiesa.
Bagnasco ricorda e ammonisce che “i cristiani sono consapevoli che hanno da dire qualcosa di decisivo per il bene dell’umanità” e sottolinea che “è con questo patrimonio universale che la comunità cristiana deve animare i settori pre-politici nei quali maturano mentalità e si affinano competenze, dove si fa cultura sociale e politica”. Il cardinale ha letto una lunga relazione e ha premesso che quando i cristiani si radunano per ragionare insieme sulla società tutti “dovrebbe semplicemente rallegrarsi”. E ai cristiani dice che la verità deve essere annunciata “senza paura di essere emarginati”. Ripercorre la storia e rileva che la “presenza dei cattolici nelle istituzioni del Paese” è il segno che essi hanno contribuoto “in modo determinante” a costruire “l’anima dell’Italia prima ancora che dell’Italia politica”. Ma la loro presenza è stata “decisiva” nelle situazioni “difficili e gravi” della storia delle Repubblica. Dunque oggi occorre “riaffermare la presenza sociale e civile dei cattolici”.
La cosa più importante, però, non è “l’organizzazione efficiente” o “il coagulo di interessi materiali o ideologici”, ma “la forza degli ideali”. La società deve riconoscere questa presenza e questa dimensione: “Negarla o non riconoscerne la dimensione pubblica, significa creare una società violenta, chiusa e squilibrata a tutti i livelli personale, interpersonale e civile”. Bagnasco ripete ciò che ha detto molte volte Benedetto XVI e cioè che la religione “non è un problema per la società moderna” e che la Chiesa “non cerca privilegi”. Infatti i cristiani sono diventati “nella società civile massa critica capace di visione e di reti virtuose”. L’orizzonte a cui attenersi è quello della Dottrina sociale, definito dal presidente della Cei “tesoro provvidenziale, insuperabile e necessario” per i cattolici nel loro impegno pubblico”. Essi, per questo motivo “non devono mai arretrare di fronte alle sfide”. Bagnasco assicura che non c’è motivo di temere “per la laicità dello Stato”, pur riconoscendo la rilevanza pubblica delle fedi religiose. Ma i cristiani “non possono tacere” e quando le “difficoltà culturali e sociali sono più gravi” i cristiani devono portare il proprio contributo “specifico, chiaro, deciso, senza complessi di sorta e senza diluzioni ingiustificabili”.
Ciò vale nel campo dei “principi non negoziabili che Bagnasco spiega: inizio e fine vita, matrimonio di uomo e donna, libertà religiosa ed educativa. Il cardinale smentisce che il cristianesimo per questo motivo sarebbe “arrogante e pericoloso per la democrazia” e per il “pluralismo e il principio di tolleranza”. Cita il discorso del Papa al Bundestag di Berlino: “Il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato”. Eppure non si può a suo giudizio ritenere che, in base alla assoluta autonomia delle scelte morali, “tutte le condizioni della vita” siano “equivalenti”. Per questo motivo va respinto il tentativo di avvolgere i valori nel “cono d’ombra” e di “silenzio”, di “relegarli nello sfondo privato”, come se fossero “argomento scomodo e quindi socialmente e politicamente scorretto”. Bagnasco ammette che su molte questioni siano possibili “mediazioni e buoni compromessi”, ma ci sono “valori i quali difficilmente sopportano mediazioni per quanto volonterose”, perché in tale caso verrebbero “di fatto negati”.
Alberto Bobbio