19/11/2012
Un'immagine dell'aperrtura del primo sinodo dei giovani della diocesi di Torino. Servizio fotografico di Paolo Siccardi/Sync.
«Voi siete l'avanguardia della speranza, siete i tralci della vite che è la Chiesa. Si apra dunque il sinodo dei giovani». Il momento è solenne. Monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, si rivolge alla gente assiepata sul sagrato e lungo le scalinate del Duomo. Centinaia di persone. Età media 25 anni. Sono ragazzi delle parrocchie, animatori, educatori, responsabili di gruppi e movimenti. Sono seminaristi e laici. Sono cantori, musicisti, giocolieri. Sono studenti e lavoratori, testimoni impegnati o semplici curiosi di Dio.
Sono, insomma, i giovani della diocesi, quella parte di Chiesa che spesso vive nascosta (tanto da sembrare assente), ma che invece a volte decide di rendersi visibile. Per diventare efficace. Questo è il loro momento: per i giovani e con i giovani l'Arcivescovo ha deciso di aprire le porte ad una sfida inedita per la Chiesa torinese (e non solo). Sinodo letteralmente significa "strada comune" e proprio di questo si tratta: due anni di cammino per crescere insieme, riscoprendo il significato profondo di parole come fede, ascolto, annuncio. «E' arrivato il momento di mettersi in gioco, di essere presenti - esorta Nosiglia – se necessario anche di disturbare un po'». Tanto più nell'anno che papa Benedetto XVI ha voluto consacrare alla fede.
Tra i presenti c'è qualche "veterano" come Vincenzo Camarda, 25 anni, dottorando in Scienze psicologiche, antropologiche e dell'educazione. Aveva già rappresentato i giovani all'incontro col Santo Padre del maggio 2010, durante l'ostensione della Sindone, e da oltre un anno segue il progetto del sinodo: «E' un fare più che un dire, un cantiere sempre al lavoro. Penso sia un'occasione preziosa per misurare la temperatura della nostra fede, ponendoci interrogativi importanti: a che punto siamo del cammino spirituale? Ci sentiamo fermi o troviamo lo slancio per andare avanti?».
Marzia Paletta, 25 anni e un sorriso contagioso, ha deciso di far parte della segreteria del sinodo, occupandosi, tra l'altro, di vari aspetti organizzativi: «Mi è sembrata una scelta naturale – racconta – dopo tanti anni trascorsi in oratorio. Penso di avere l'età giusta per potermi impegnare come "apripista", magari dando una mano ai ragazzi più giovani». Molti vedono nel sinodo l'occasione per ampliare gli orizzonti e uscire dal guscio (protettivo, ma a volte un po' ristretto) delle singole parrocchie.
Gabriele (per gli amici "Gabbo"), 21 anni, studente in scienze forestali, arriva da Savonera, frazione di Collegno, alle porte di Torino: «Mi piacerebbe diventare parte di una comunità più grande e scoprire il valore dell'agire insieme, anche sul piano sociale. Ce n'è un gran bisogno». Simona, 32 anni, è nata in Romania, ma da un decennio è torinese d'adozione. Qui ha trovato un lavoro, studia e si è inserita in parrocchia: «Mi interessa capire come gli altri vivono il dono della fede – spiega – finora non avevo mai vissuto nulla del genere, né qui né in Romania».
Foto Paolo Siccardi/Sync.
Mentre, a pochissima distanza, corridori da tutto il mondo si sfidano
lungo il tracciato della Turin Marathon, i giovani "atleti" del sinodo
(come dimenticare San Paolo, "atleta di Dio"?) camminano per le vie del
centro. Non è una vera processione. Piuttosto un corteo gioioso, aperto
dalla croce dei giovani (che ricorda quelle delle Giornate Mondiali
della Gioventù), ma accompagnato anche da bandiere e giocolieri. C'è
perfino la banda, come in una festa di paese. Si parte dal santuario
della Consolata, luogo altamente simbolico nel quale l'Arcivescovo
affida il cammino alla protezione materna di Maria, per poi raggiungere
il Duomo, cuore stesso della diocesi.
Foto Paolo Siccardi/Sync.
L'intero percorso sinodale ruota
attorno all'immagine evangelica della vite e dei tralci, richiamata da
molti simboli. I responsabili di parrocchie, gruppi e movimenti
ricevono in dono una piantina di vite: 600 in tutto quelle benedette. «Non un'immagine, ma una pianta
vera, di cui bisogna aver cura – spiega don Luca Ramello, direttore
dell'ufficio diocesano di Pastorale Giovanile – Piantare una vite è un
grande segno di speranza. Parliamo di una pianta che richiede molto
tempo per crescere. I frutti non si vedono subito, ma c'è chi li vedrà.
Ci vuole, insomma, fiducia nel futuro: esattamente quello che vorremmo
testimoniare, anche in tempi difficili». E non è un caso se i giovani
animatori del sinodo hanno deciso di chiamarsi "giovani intralci",
espressione volutamente ambigua. «Tutto dipende dal modo in cui la
leggiamo – spiega don Ramello – Possiamo considerare i giovani degli
"intralci", cioè degli ostacoli, dei disturbatori. Ma possiamo anche
leggere "in tralci", cioè innestati nella vite che è Cristo».
L'apertura ufficiale del Sinodo si conclude con la Messa, celebrata in
un Duomo gremito di persone, come avviene solo nelle grandi solennità.
«Gesù non vuole una fede tiepida, ma un amore caldo, profondo,
intransigente – ammonisce l'Arcivescovo nell'omelia – Solo scommettendo
su mete impossibili si incontra Dio». Durante la celebrazione vengono
anche ordinati 12 nuovi diaconi, 10 dei quali intenzionati a diventare
sacerdoti: un ulteriore segno di speranza.
Lorenzo Montanaro