08/04/2012
I fedeli accendono le candele per la veglia pasquale (foto Reuters).
Quest’anno
mi trovo a celebrare la veglia pasquale a Zagabria, in Croazia, ospite delle
suore Ancelle di Gesù Bambino che si stanno preparando a celebrare il loro
Capitolo generale. Mi hanno chiesto di condividere con loro l’esperienza della
lotta contro le nuove schiavitù, che vedono coinvolte molte giovani dai Paesi
dell’Est Europa.
Per la
prima volta partecipo alla liturgia pasquale in un Paese che in pochi anni è
passato dalla dittatura comunista a una democrazia, che permette ai tanti
cristiani rimasti fedeli alle loro tradizioni di poter esprime la loro fede.
Durante la celebrazione colgo ciò che significa per questi popoli il passaggio
del Mar Rosso, l’attraversata del deserto per raggiungere la terra promessa e
vivere in piena libertà anche le loro radici cristiane.
Ma come
mi capita sempre in questi ultimi anni, il ricordo più forte è quello di una
veglia vissuta nella basilica di San Pietro nel 2003, in cui ufficiava il Beato
Giovanni Paolo II, già assai sofferente. In una basilica gremita di fedeli,
oltre a ricordare il grande mistero della resurrezione di Cristo, abbiamo
condiviso la gioia di accogliere nella comunità cristiana nuovi membri adulti,
tra cui una giovane mamma africana. La
sua storia ha un sapore tutto particolare. Quel battesimo, infatti, segnava il
coronamento di un lungo cammino di morte e di vita, di sofferenza e di gioia,
di fatica e di speranza.
Joy, assai emozionata, aveva un abito bianco, tipico del
suo Paese, di quelli che le donne indossano per le grandi occasioni. Aveva un
aspetto davvero regale.
Ricordavo molto bene la
prima volta che l’ho incontrata alla stazione Termini di Roma, per offrirle la
possibilità di lasciare la vita di sfruttamento sulla strada, a cui era
costretta ed entrare in una comunità di accoglienza. Joy era incinta. Doveva prendersi
cura di sé e della creatura che sarebbe dovuta nascere di lì a tre mesi. Ricordo
la sua disperazione e i suoi singhiozzi, i suoi alti e bassi, le paure e
le attese, le lacrime e i sogni infranti, la rabbia e il silenzio, la
lontananza della famiglia, ma anche la vergogna e la paura di non essere più
accolta dai genitori se avessero saputo.
Ma poi, quasi per miracolo, ci fu il
contatto telefonico con la madre, che non sentiva da moltissimo tempo, pochi
giorni prima del parto. Da vera mamma africana, le disse di non aver paura, ma
di accogliere la sua bambina con amore, perché ogni vita è sempre un dono di
Dio. Quelle parole hanno trasformato l'atteggiamento di Joy giacché, nonostante
il suo dramma, si è sentita ancora una volta capita e accolta.
“Senza il vostro aiuto e
la vostra accoglienza - mi disse al telefono - ora, non solo non sarebbe nata
la mia bambina, ma non ci sarei stata più nemmeno io, giacché la vita per me
non aveva più alcun senso”.
Come poi Joy sia giunta al Battesimo in San Pietro
rimane un vero miracolo dell'amore traboccante di Dio, che ancora una volta si
china sulle sue creature povere e insignificanti per renderle creature nuove e
pasquali.
La fantasia di Dio
oltrepassa tutti i nostri sogni. Joy desiderava che, il giorno del suo
battesimo, il Santo Padre benedicesse anche la sua bambina. E così, all'offertorio,
le è stato concesso di offrire non solo la sua vita trasformata in Cristo, ma
anche quella della sua creatura.
Joy è salita dignitosamente verso l’altare e
si è avvicinata al Santo Padre, presentando la piccola Cristina tranquillamente
addormentata tra le braccia della madre.
Il Santo Padre ha
accarezzato e benedetto entrambe, madre e figlia, segnate per sempre dalla
Grazia e dall’amore infinito di Dio che si china con compassione sulle sue
creature per imprimere il sigillo della sua Paternità e Maternità.
Suor Eugenia Bonetti