20/11/2012
Particolare della cacciata dal paradiso terrestre, Michelangelo, Cappella Sistina, Vaticano.
Sembra una sfida persa in partenza,
specialmente in un’epoca come la nostra,
graffiata dal relativismo etico
che porta ciascuno a fare quello che
ritiene meglio, fuggendo il più possibile il rischio
e la fatica della scelta. «L’ammetto»,
esordisce Enzo Bianchi, priore della comunità
monastica di Bose, «parlare oggi di lotta
spirituale significa togliere la polvere a uno
degli aspetti più dimenticati e irrisi della vita
cristiana. Eppure, il combattimento interiore
è più che mai essenziale».
Bose, monaci in preghiera
A monte di tutto c’è un problema. Si chiama
ignoranza. «Ognuno di noi aspira a fare
della propria vita un capolavoro», sottolinea
Bianchi. «C’è un obiettivo correlato: la felicità.
Ciò che si dimentica facilmente è che per
riuscire in questo duplice intento contano i
rapporti con le cose (a partire dal cibo, dalla
sessualità e dal denaro), con il tempo, con lo
spazio. Insomma, contano le relazioni che
uno ha, non ha o ha deformate, con sé stesso con gli altri e, per chi crede, con Dio. Possiamo
dirci davvero liberi oppure no?».
Bose, monaci in preghiera.
«L’esperienza», prosegue Bianchi, «insegna
che non sempre le nostre relazioni sono improntate
a libertà. Spesso e volentieri il nostro
cuore è dominato da quelle tentazioni
che i Padri della Chiesa chiamavano saggiamente
“vizi capitali”. Ingordigia, lussuria,
avarizia, tristezza, collera, acedia, vanagloria
e superbia, infatti, si annidano nel nostro
cuore, pronte a sedurlo e a farlo cadere
in peccato. Quale migliore occasione dell’Avvento,
allora, tempo di attesa, ma anche di vigilanza
e di rinascita, per combattere questi pensieri malvagi ed esercitarsi nella delicata
arte della lotta contro le tentazioni?».
Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose.
Il tema è di quelli da prendere sul serio.
«Nell’Ottocento, ad esempio, lo fece un poeta
“maledetto” del calibro di Arthur Rimbaud.
«La lotta spirituale è brutale quanto la battaglia
fra uomini», scrisse in Una stagione all’inferno.
Chi ride di abba Antonio oppresso nel
deserto dagli spiriti malvagi che gli appaiono
«sotto forma di belve e di serpenti», è un superficiale
che non si conosce, oppure è una
persona costantemente vinta dalle tentazioni,
al punto da non accorgersene più.
Va quindi
detto con chiarezza: non è possibile l’edificazione
di una personalità umana e spirituale
robusta senza la lotta interiore, senza un
esercizio al discernimento tra bene e male, in
modo da giungere a dire dei “sì” convinti e
dei “no” efficaci; “sì” a quello che possiamo
essere e fare in conformità a Cristo; “no” alle
pulsioni egocentriche che ci alienano, contraddicendo
i rapporti che abbiamo con noi
stessi, con Dio, con gli altri e con le cose, privi
a quel punto di libertà e amore».
Nessun dualismo spirituale, quasi che per
affermare Dio occorra negare l’uomo. Gli otto
agili volumi sono altrettante tappe di un
cammino che aiuta a conoscere i vizi capitali.
Per aiutare a vincerli.
Sia a livello personale
che sociale. «L’ingordigia, ovvero la “gola”
», conclude Enzo Bianchi, «segnala un pessimo
rapporto con il cibo. Bulimia e anoressia
sono due piaghe diffuse, ma a livello comunitario
questo vizio capitale si chiama
consumismo. Vogliamo parlare, poi,
dell’avarizia, ovvero di un rapporto deformato
con il denaro? Il suo volto sociale è lo
sfruttamento del potere finanziario.
La sessualità,
infine: è buona, è santa, l’ha creata il
Signore. Anche il piacere rientra nei progetti
di Dio. Ma se non c’è disciplina, questa forza
meravigliosa e al tempo stesso caotica rischia
di trasformare l’altro in oggetto.
La pornografia
mette sempre davanti a noi delle
parti del corpo, mai la persona. La lotta,
l’ascesi, ha come traguardo finale una vita
piena. Compiuta». Leggere per credere.
Dialoga con Enzo Bianchi il 21 novembre alle 15.30
Il priore della comunità di Bose risponderà
in diretta alle domande di chi si collegherà alla pagina
Facebook di Famiglia Cristiana:
http://bit.ly/dialogaconenzobianchi
Alberto Chiara