Milo De Angelis, schiavo della parola

Intervista al grande poeta, fra i vincitori del Premio Mondello, che racconta di quando Giovanni Giudici gli disse: "Allontanati da Montale".

28/05/2011
Milo De Angelis è considerato una delle voci più importanti della poesia contemporanea.
Milo De Angelis è considerato una delle voci più importanti della poesia contemporanea.

   Con la sua ultima raccolta poetica, Quell’andarsene nel buio dei cortili (Mondadori), Milo De Angelis è uno dei tre vincitori del Premio Mondello 2011 per l’Opera di autore italiano, assieme a Eugenio Baroncelli, con i micro-racconti di Mosche d’inverno (Sellerio), e a Igiaba Scego, con la narrazione autobiografica de La mia casa è dove sono (Rizzoli).

   Apprezzato e consacrato da autorevoli giudizi fin dall’esordio con Somiglianze (1976), De Angelis è oggi uno dei più autorevoli poeti italiani, in equilibrio tra analogismo visionario e concretezza da “linea lombarda”. Dal premio il nostro dialogo scivola presto verso la storia della sua poesia: la storia di una vocazione e di un’obbedienza, fatte convivere con il mestiere di insegnante in carcere.

- Quale valore annetti ai premi letterari?
«Il Premio è una festa, un incontro pubblico, un affacciarsi del poeta nel mondo. È dunque l’aspetto diurno della sua opera, quello in cui esce allo scoperto e si lascia vedere. Ma è un attimo. Poi il poeta torna nel buio della parola».

- Qualche giorno fa è scomparso un altro dei maestri del pieno Novecento, Giovanni Giudici. Che cosa cambia per i poeti della tua generazione con questa eclissi di grandi autori?
«È stata, quella di Giovanni Giudici, una generazione di veri poeti e di veri lettori. Avevo vent’anni quando l’ho conosciuto all’Olivetti di Milano. Lesse le mie poesie con attenzione. Ma disse anche: “Qui c’è troppo Montale, devi allontanarti da lui”. Ricorderò sempre questa benefica franchezza».

- Sei oggi uno dei poeti italiani più unanimemente considerati: guardando indietro, hai qualcosa da rimproverarti?
«L’unico rimprovero – ma è grande – è quello di avere scritto tante poesie inutili. Oggi salverei un decimo della mia opera».

- La tua poesia non cerca la facile leggibilità e la confidenza con il lettore: come vorresti che fosse affrontata? C'è una "ricetta" per leggerla?
«La poesia, come sai bene, non è mai facile o confidenziale. Parla di zone oscure, segrete, profonde. Vorrei che il lettore vi entrasse con lo stesso necessario impegno di chi l’ha scritta».

- In ambito editoriale dirigi la collana poetica di Niebo (dal nome della rivista degli anni Settanta): rinnovando una fortunata tradizione, quali consigli daresti a un giovane poeta?
«Lasciare che la parola, ogni singola parola, diventi un’ossessione, non opporsi con facili evasioni a questa tirannide che la parola esige».

Nato nel 1975 grazie a un gruppo di intellettuali palermitani, il Premio letterario internazionale Mondello è giunto quest’anno alla trentasettesima edizione. Presidente della giuria è stato Giovanni Puglisi, rettore dell’Università Iulm e presidente della Fondazione Banco di Sicilia (che promuove il premio insieme alla Fondazione Andrea Biondo).

Per l’opera di autore straniero è stato premiato Javier Cercas con Anatomia di un istante (Guanda); il Premio Mondello per la multiculturalità è andato a Kim Thúi, autore di Riva (Nottetempo), mentre il nuovo Premio Mondello giovani è stato attribuito a Claudia Durastanti, con Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra (Marsilio). Da ricordare anche il Premio all’intelligenza d’impresa, andato a Enzo Sellerio, e il Premio del presidente della giuria, assegnato ad Antonio Calabrò per Cuore di cactus (Sellerio). 

Il 27 maggio, alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo, è stato infine assegnato il SuperMondello al vincitore assoluto per l’Opera di autore italiano: i voti della giuria e quelli degli studenti delle scuole palermitane coinvolti nella lettura hanno fatto prevalere Eugenio Baroncelli, con i racconti di Mosche d’inverno (Sellerio).

Daniele Piccini
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