29/11/2012
Daniel Barenboim in versione pianista (Ansa).
Ormai è un appuntamento tradizionale: la lunga vigilia del 7 dicembre - giorno dell’inaugurazione della Stagione del Teatro alla Scala, la più attesa e chiacchierata al mondo - inizia all’Università Cattolica. Ieri Daniel Barenboim ha presentato agli studenti e al pubblico il “suo” Lohengrin di Richard Wagner. Ma poiché il direttore musicale del Teatro è personaggio imprevedibile e coinvolgente, i fuoriprogramma sono stati all’ordine del giorno.
Settanta anni, argentino di nascita e israeliano di adozione, Barenboim ha voluto parlare prima che della musica di una scottante attualità. Dopo aver ringraziato l’Università Cattolica che anche quest’anno regalerà a un giovane della sua orchestra giovanile West Eastern Orchestra (composta da europei, israeliani e palestinesi) una borsa di studio, ha detto al foltissimo pubblico presente: «Domani (giovedì 29, ndr) è un giorno importante. Le Nazioni Unite metteranno ai voti l’ammissione della Palestina come stato osservatore. Israele voterà contro, così come gli Stati Uniti. Ma sono dispiaciuto che Stati nei quali mi considero di casa come Italia e Germania (che ha annunciato il suo no in serata, ndr), siano titubanti. Perché di fatto questa è una speranza di futuro. È l’accettazione di quelle condizioni che nel ’47 i palestinesi rifiutarono e che ora vogliono. E io so che molti intellettuali e politici israeliani vorrebbero un voto favorevole».
Raccolto l’applauso, è passato a Wagner. Ecco le sue prime parole risuonate nell’Aula Magna:
Daniel Barenboim ieri, alla Cattolica di Milano, ha parlato del "Lohengrin" che inaugurerà la stagione della Scala.
Seguite, come un torrente in piena, da considerazioni, pensieri,
battute: ha ricordato che Liszt, chiedendo consiglio a Wagner, ci ha
permesso di sapere che il grande autore voleva un canto all’italiana,
con grandi capacità declamatorie, a volte simile al parlato. Che anche
Wagner si è dovuto piegare a compromessi determinati dalla scarsezza di
mezzi, ma che questo non significa che non desiderasse per esempio
orchestre molto più grandi di quelle che aveva a disposizione. E che il
Preludio al 2° atto è per lui uno dei momenti più intensi dell’opera.
E
ha perfino scherzato sulle contraddizioni del libretto e sulla natura
non svelata del protagonista: «In fondo anche James Bond non racconta
mai chi è!». Poi, come ormai anche il pubblico televisivo sa, il
direttore musicale della Scala è passato a temi che gli sono cari.
L’orecchio umano non è solo uno strumento «per sentire, ma anche per
ricordare». «I registi non mi interessa se raccontano la storia
ambientandola come è scritto nel libretto o dove pare a loro.
L’importante è che sappiano raccontare la storia». E, ben in sintonia
col luogo, ha fatto una riflessione intorno alla figura degli dei
wagneriani: «Sono eroi, ma anche fragili. Del resto io credo che anche
Dio lo sia: dopo tante tragedie umane, dopo tanti orrori».
Un rimedio a
tanti orrori? La musica. Che non è solo e semplicemente un modo per
consolarsi ed evadere dalla realtà, perché «anche Hitler e Stalin
amavano Wagner e Mozart», ma un modo «per conoscere la realtà». Questo e
solo questo ne garantirà il futuro. E per questo bisogna investire in
cultura. La Germania, pur nella crisi, lo scorso anno ha aumentato di un
milione e duecentomila euro il budget. Insomma: in attesa del Lohengrin, uno sguardo fisso al presente.
Giorgio Vitali