13/03/2013
Il Blue Note a Milano.
Il jazz è la musica più vitale, libera e rappresentativa dell'epoca contemporanea scriveva, nel secolo scorso, il celebre critico musicale Giulio Confalonieri. Definizione che, ancora oggi, calza a pennello per definire una passione senza tempo. Ci sono solo due locali al mondo dove tutti i più grandi jazzisti hanno suonato negli ultimi 30 anni. Il Blue Note di New York e quello di Milano che sta per spegnere 10 candeline.
La prima sede europea dello storico jazz club del Greenwich Village, infatti, ha aperto i battenti il 19 marzo 2003 con il concerto di Chick Corea e da allora continua ad ospitare grandi artisti italiani e internazionali del panorama jazz e non solo, con una programmazione aperta alle contaminazioni musicali, dal blues al pop. «Sono stati anni densi di lavoro e di soddisfazioni, per i quali il nostro ringraziamento affettuoso va a tutti quanti hanno contribuito a fare del Blue Note un punto di riferimento imprescindibile per gli appassionati di musica di qualità», racconta Paolo Colucci, presidente di Blue Note Milano. In 10 anni di vita il Blue Note ha realizzato oltre 3000 spettacoli e ospitato alcuni tra i più grandi jazzisti come Stefano Bollani, Dee Dee Bridgewater, Billy Cobham, Paolo Fresu, Al Di Meola, Manhattan Transfer e, tra gli italiani, Eugenio Finardi, Pino Daniele, Malika Ayane, Antonella Ruggieri, Ornella Vanoni e Nina Zilli.
Per festeggiare degnamente l’ambito traguardo il 17 marzo, due giorni prima dell’anniversario, ci sarà una serata speciale a ingresso gratuito
“Blue Note Milano 10th anniversary con Nick the Nightfly & Special Guests”. Lo storico dj di Radio Monte Carlo, nonché direttore artistico del Blue Note, sarà accompagnato dal suo quintetto e da ospiti d’eccezione a sorpresa.
Nick the Nightfly
Nick, da quanto tempo è direttore artistico del Blue Note Milano?
«Dall’apertura!».
Una bella sfida…
«Una grande sfida. Siamo stati i primi ad introdurre in Italia un
sistema di serate-concerto che non esisteva prima. In pratica, due
spettacoli, nella stessa sera, come al cinema. All’inizio è stato
difficile ma, con il tempo, il pubblico si è abituato a questa
innovazione e ha gradito il fatto di poter ascoltare musica comodamente
seduti, magari cenando. Ma la vera scommessa l’abbiamo vinta dal punto
di vista artistico, perché siamo riusciti a far diventare il Blue Note di
Milano il più importante locale di jazz in Europa. Da qui sono passati i
nomi più famosi del jazz e non solo. Noi facciamo anche musica
brasiliana, soul e il meglio della musica italiana. Pensi che Mario
Biondi ha fatto il suo primo concerto da noi. Questo significa che siamo
sempre attenti anche alle novità. E il pubblico non si allontana,
nonostante questi tempi di crisi».
È questo il segreto del successo del Blue Note di Milano?
«Forse, ma è sempre il pubblico, alla fine, a decretare il tuo successo.
Credo dipenda anche dalla trasversalità del Blue Note, dall’offerta
degli artisti che spaziano in tutti i generi musicali».
Il jazz è considerata musica di nicchia ma, ultimamente, sono molti i
giovani che si avvicinano a questo genere musicale. Come lo spiega?
«Per tanti versi il jazz è anche una musica più interessante,
sicuramente più complicata armonicamente del pop. Un concerto di jazz si
può fare nella sola versione strumentale, cosa che non è possibile, per
esempio, per il pop che necessita sempre di un cantante. E poi, da
sempre, portiamo avanti una politica di prezzi ridotti per i ragazzi.
Tutti gli studenti e gli universitari hanno uno sconto del 40-50 per cento».
Il concerto più bello di tutti questi anni di carriera?
«Il concerto di Wynton Marsalis, oggi considerato l’erede di Louis
Armstrong. Era di passaggio dall’Italia con il suo gruppo e siamo
riusciti a farlo esibire al Blue Note. Nella stessa sera e sullo stesso
palco ha cantato Cassandra Wilson, vincitrice di numerosi Grammy Awards,
e il grande sassofonista siciliano Francesco Cafiso, allora solo
15enne. Un altro concerto strepitoso che ricordo è stato quello che ci
ha regalato Pino Daniele».
Qualcuno vi ha mai detto di no?
«No, perché gli artisti amano suonare e soprattutto nell’ atmosfera che
si può creare proprio in un locale come il Blue Note. Diciamo che ci
sono artisti che non possiamo invitare, perché hanno dei cachet troppo
costosi per un club che non ha la capienza di un teatro o di uno stadio».
Il pubblico del Blue Note è anche quello che la segue da sempre a Radio
Monte Carlo? «Assolutamente e questa è una cosa di cui vado molto fiero perché oggi, a
mio avviso, non c’è nel mondo, una radio che trasmetta in diretta da un
locale proponendo un programma di musica che ha lo scopo di diffondere
la cultura della musica. Ci sono ragazzi che vengono a trovarmi da tutte
le regioni d’Italia perché mi hanno prima conosciuto attraverso la mia
trasmissione radiofonica. Non mi stancherò mai di ripetere che la radio è
il teatro della mente».
Ci risentiremo allora per i vent’anni del Blue Note?
«Lo spero con tutto il cuore. Lunga vita al Blue Note!».
Monica Sala