Bubola: siamo un Paese finto

«Oggi prevale una sottocultura televisiva superficiale», dice il cantautore in occasione dell'uscita dell'album "In alto i cuori". «Va ritrovato il senso civico».

31/01/2013
Massimo Bubola in concerto.
Massimo Bubola in concerto.

Si intitola In alto i cuori (Eccher Music) l’ultimo album di inediti di Massimo Bubola. Scritto con un poesia incantatoria, emotiva e immaginifica, il disco ritrae il periodo difficile che il nostro Paese sta attraversando. Intervistato da FamigliaCristiana.it, il cantautore veronese spiega come sono nate le nuove canzoni.

Hanno sparato a un angelo è il primo singolo estratto dall'album, ed è dedicato al tema del valore della vita. Come nasce questa canzone?
«La canzone Hanno sparato a un angelo è stata scritta all'indomani di un feroce assassinio avvenuto a Torpignattara, un sobborgo di Roma il 4 gennaio dell'anno scorso, quando due rapinatori hanno ucciso sotto il portone di casa il barista Zhou Zeng, 32 anni, la figlioletta di 9 mesi Joy che aveva in braccio. Il ritornello dice : "Cosa possiamo dire se non abbiamo voce / Noi che non sappiamo stare ai piedi della Croce / e non possiamo credere che morta sia Pietà. Hanno sparato a un angelo e a un po' d'eternità". Cos'è oggi la Pietà o cos'è diventata? Sappiamo ancora accettare il lutto o è diventato solo una provocazione della vita nei nostri confronti? Ho ripensato ad una Pietà di Annibale Carracci, pittore bolognese del tardo Rinascimento, e allo strazio nel volto di Maria, così come anche in un'altra crocifissione del veneziano Lorenzo Lotto. Oggi spira il vento di una sottocultura televisiva superficiale, morbosa e sensazionalista che impedisce alla maggior parte della gente di metabolizzare il lutto, ma induce a renderlo più scenografico».

Un Paese finto e Tasse sui sogni descrivono l'Italia dei nostri tempi, un periodo sicuramente poco brillante.
«Bob Dylan in una canzone sul vecchio bluesman Willie McTell dice "Dio è in paradiso e tutti vogliamo ciò che è suo, ma potere ed avidità e il seme della corruzione sembrano essere tutto quello che c'e' rimasto". La fine della cultura contadina equivale alla caduta dell'impero romano. Il mondo non torna più indietro. Quella sottocultura di cui parlavamo sopra ha contagiato tutto: la politica, la cultura popolare ed anche quella letteraria e prova a farci credere che politici mediocri e artisti banali, ma famosi di quella fama garantita dalla Tv che non richiede talenti speciali, siano invece dei grandi e che l'andare in Tv sia già di per sé stesso una consacrazione e che quelli che non ci vanno siano invece gente di poco valore della cui arte non fidarsi».

Massimo Bubola con Francesco Guccini.
Massimo Bubola con Francesco Guccini.

Cantare e portare la croce, terzo pezzo dell'album, denuncia invece la crisi di spiritualità delle nuove generazioni.
«La spiritualità è il punto di convergenza di tutte le spinte verso la giustizia. Una società giusta si rapporta ai diritti del più debole sotto il profilo economico, fisico, psicologico. Trent'anni di Tv spazzatura hanno senz'altro alterato il Dna di questo Paese e i criteri di giudizio morale, umano, artistico e di comportamento. La spiritualità è un pesce che ha bisogno di acqua limpida per sopravvivere, ma si stanno prosciugando molte fonti. Il marketing non ama la gente che pensa troppo, che legge, riflette o addirittura prega. Seguire le modarelle o imporne di nuove come la recente festa di Halloween, che non hanno nessun retaggio nella nostra cultura e nel nostro passato e continuare a creare occasioni di vendita con nuove feste, nuove celebrazioni e nuove confusioni è un indice drammatico di una mancanza di riferimenti e di un vuoto rumoroso».

Il pessimismo del disco svanisce verso la fine, soprattutto con l’ultimo In alto i cuori, la canzone che dà il titolo all’album. Lei crede, dunque, che ci siano ancora delle speranze perché l’Italia torni a splendere?

«L’Italia è un Paese che deve ritrovare il senso civico che è il senso degli altri e della salvaguardia del territorio. Non la cultura di un privato allargato che è la più praticata, quella cioè del favore da fare per poi riceverne altri, ma quello degli stessi diritti di persone sconosciute che devono avere il medesimo trattamento. Quello che nell'Antico Testamento e poi nel Vangelo si definisce il prossimo tuo. Ama il tuo prossimo come ami Dio, di cui è immagine. La speranza per noi cristiani dovrebbe essere un dovere e un impegno soprattutto verso il tempo che verrà e verso i ragazzi che crescono. Si può tornare a splendere se riprendiamo quel tono etico e quel senso del dovere verso gli altri cercando di dare il meglio di noi stessi, il che è l'unico modo per santificare la nostra vita».

Daniele Rubatti
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