30/09/2011
Il nuovo disco di Luca Carboni, "Senza titolo”, è un perfetto esempio dei mali che affliggono la discografia italiana. Il cantautore bolognese si presenta con dieci nuove canzoni a distanza di cinque anni dall'ultimo disco, che fra l'altro fu un mezzo flop, e per promuoverle che singoli vengono scelti? Il primo, uscito già da un paio di mesi, è “Fare le valigie“, una classica canzonetta balneare orecchiabile senza tante pretese, se non quella di essere canticchiata sotto l'ombrellone. Insomma, ci può stare. Ciò che appare assolutamente incomprensibile è la scelta del secondo singolo che in teoria dovrebbe essere il pezzo davvero forte del disco, com'è stato, tanto per dire, "Il più grande spettacolo dopo il Bing Bang" per "Ora” di Jovanotti. La canzone in questione si intitola “C.... che bello l'amore”, e al di là della parolaccia appiccicata lì per non si sa quale ragione, è di gran lunga il pezzo più brutto, più insulso del disco, tanto nel testo quanto nella musica. Però è facile e se lo ascolti un paio di volte ti entra in testa e quindi, devono aver pensato i discografici, è perfetto per le radio.
È questa ricerca della leggerezza a tutti i costi che contribuisce a far sì che nelle radio, almeno quelle più ascoltate, la musica sia sempre più banale e scontata. A farne le spese sono soprattutto artisti come Luca Carboni in cerca di un rilancio, perché se un appassionato di musica attento dovesse basarsi solo su queste due canzoni, difficilmente comprerebbe l'intero disco.
E invece “Senza titolo” è probabilmente il miglior disco di Carboni da vent'anni a questa parte. Il cantautore ritrova la sua miglior vena minimalista, capace con piccole pennellate di descrivere un mondo o uno stato d'animo. Ecco che allora scorrono il racconto della disillusione della sua generazione, quella cresciuta negli anni'80 in "Riccione-Alexander Platz", la tenerezza del rapporto con il padre in “Senza strade” (canzone che ha ispirato anche la bella copertina) e il rimpianto verso la madre che non c'è più nella conclusiva “Madre“ ("Chissà che faccia che farai quando ti vedrò quando mi vedrai. Ci si può amare sai senza capirsi mai. Madre madre madre. Adesso guardo il mondo come lo guardavi te. Dicevi guarda gli uccelli del cielo, ci bastano poche briciole").
Il tutto è sorretto da melodie che, pur distanti dall'originalità del passato, si ascoltano con piacere, sorrette dagli arrangiamenti essenziali di Mauro Malavasi, con quel mix di chitarre e campionamenti elettronici che sembrano essere il suo marchio di fabbrica. “Senza titolo” è insomma un disco sincero, interessante, godibile, che probabilmente, come dimostrano i dati di vendita fin qui non molto esaltanti, è penalizzato dalle scelte sbagliate dei due singoli. Non è la prima volta e, purtroppo, non sarà nemmeno l'ultima.
Eugenio Arcidiacono