Ry Cooder, il contestatore

La crisi finanziaria, i problemi razziali e la lotta alla povertà: il grande cantautore racconta l'America di oggi. E immagina un assalto alla Goldman Sachs.

03/11/2011

Chi fa musica somiglia a un pescatore di perle: si immerge nel pozzo dei ricordi e torna su con un sentimento altrimenti inafferrabile. Ry Cooder è un fine pescatore, ha sempre indagato stili ed estetiche, per farle proprie. Lo ha fatto con i ritmi ancestrali del maliano Ali Farka Touré, con il folclore celtico dei Chieftains. Per non parlare dei favolosi ottuagenari del Buena Vista Social Club, da lui riesumati insieme al regista Wim Wenders.

Dopo la trilogia dedicata alla sua California, suoni riot a profusione, Cooder, che iniziò come chitarrista al fianco di Taj Mahal e presto lo si trovò a duettare con Mick Jagger o Captain Beefheart, prima di realizzare le migliori colonne sonore dei film di Wenders, apre nuove strade con Pull Up Some Dust And Sit Down (Nonesuch/Warner). Atmosfere e aromi appartengono al Messico dimenticato dei primi decenni del secolo passato: la rivoluzione era in corso, Pancho Villa ed Emiliano Zapata si davano da fare, e ovunque risuonava il corrido – genere epico e teatrale – e la canción ranchera, linguaggi limitrofi alla musica dei mariachi. Mandolini, banjo, voci dolorose e roche che hanno scalciato il belcanto, popolano infatti l’intero album.

Cooder rigenera e usa questi idiomi per raccontare l’America di oggi: la crisi finanziaria, i problemi razziali e la lotta alla povertà: «Non ho mai visto i repubblicani essere così taccagni come in questi tempi», ha spiegato. «La cosa peggiore è lo sperperare ciò che invece la gente dovrebbe avere o ricevere di diritto, intendo dire le risorse che meritano, visto che pagano le tasse regolarmente». A dispetto dell’accento messicano delle partiture, la sceneggiatura del disco è americana: in El Corrido de Jesse James fa rivivere il fuorilegge dalla pistola facile e lo manda all’assalto della Goldman Sachs come fosse un treno unionista del Missouri.

Suoni e note che diventano cinema di protesta nella testa del chitarrista di Los Angeles. Persino visioni, quando resuscita il vecchio amico John Lee Hooker che, riposta la chitarra, annoda la cravatta e concorre alle presidenziali della Casa Bianca (John Lee Hooker for President). Tutta finzione, ovviamente. Provocatorio e dissacrante, Cooder genera un mondo di simboli e significati in ogni canzone. Scontento, perché dalle sue parti non si respira aria di cambiamento, realizza una musica fiera e riesce a rendere credibile l’inverosimile.

Federico Scoppio
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