Dove c'è cultura c'è vita

Molti studi dimostrano che l'investimento culturale genera profitto economico e aumenta il prestigio del territorio. Un'esperienza italiana e francese a confronto.

19/08/2012
Serge Dorny, direttore generale dell’Opera di Lione dal 2003.
Serge Dorny, direttore generale dell’Opera di Lione dal 2003.

Un buco nero di bilancio: per molti – compresi alcuni politici e ministri - finanziare Teatri, musica, festival ed attività culturali è solo questo. La prima obiezione è quasi scontata: senza la cultura “viva” una Nazione muore. La seconda viene dalla vicina Francia. E’ di Serge Dorny, direttore generale dell’Opera di Lione dal 2003: un personaggio che il Financial Times definisce “un uomo nel cui cuore batte l’arte”. Gli abbiamo chiesto cosa ha fatto per convincere i suoi politici: "Abbiamo fatto fare innanzitutto uno studio sul pubblico nel 2011 e lo abbiamo rinnovato. E’ difficile che i teatri studino il pubblico, perché normalmente al 90% è formato da abbonati. Gli abbonati da noi sono solo il 23%". E viene all’Opera un pubblico giovane. Anzi, l’edificio stesso è diventato un luogo di ritrovo».

Ed in termini di conti?«Si parla di Teatro in termini di istituzione culturale, ma mai si parla di impresa culturale. E in un periodo in cui le sovvenzioni sono ridotte per la crisi, dobbiamo domandarci quale è il ritorno per una città e per la sua economia. Da noi la situazione è che per ogni euro di sovvenzione ce ne sono 3 di rientro economico. Perché? Perché un Teatro usa molta forza lavoro, ma coinvolge anche il terziario e chi offre servizi, generando reddito e consumi. E poi ci sono spettatori che sono pure consumatori, non solo dello spettacolo. Tutto ciò crea un prodotto economico. Due terzi del rientro economico rientra sul territorio locale. Inoltre per ogni euro di sovvenzione, lo stato incassa un euro di tasse versate dai lavoratori. Nessun investimento pubblico produce il 200% di rientro».

Franco Punzi, presidente di Italia Festival.
Franco Punzi, presidente di Italia Festival.

In estate i Festival dal taglio culturale fioriscono. Ne approfittiamo per sentire come vanno le cose nel nostro Paese: Franco Punzi, presidente di Italia Festival (che raggruppa Festival di ogni tipo) e del Festival della Valle d’Itria, ribadisce i concetti del “collega” francese:«anche noi abbiamo preso in esame lo stesso problema», ci dice, «e il nostro studio dimostra che il rapporto fra investimento e rientro in Italia è addirittura di 1 a 4. E questo perché le tasse italiane sono altissime».

Pieno accordo poi sulle altre ricadute: «Certo, non sono solo economiche: ma sul territorio, culturali e di immagini. Basta pensare che alcuni luoghi si sono identificati nei Festival: Torre del Lago grazie al Festival Puccini, Ravello, Pesaro grazie a Rossini, Macerata con lo Sferisterio, e ovviamente Martina Franca. Fra l’altro in un’indagine del 1989 del Cnr ci fu lo stesso risultato: significa che il rapporto finanziamenti/rientri è stabile». Quanto alle sensibilità da coinvolgere, per Punzi «è più preoccupante la latitanza di molti Enti locali. Eppure la cultura è un volano per l’economia. Aver dato troppo spazio alla sola musica di consumo è stato un errore. Anche perché lo spettacolo culturale impiega migliaia e migliaia di figure nobili e specializzate di lavoratori».

Cosa spinge una famiglia a cambiare città? E’ una ricerca a spiegarcelo. La illustra ancora Serge Dorny. “un Teatro ed una Istituzione culturale rappresentano un’attrattiva per la Città. Quando una famiglia (ma anche una persona, o una società) vogliono trasferirsi in una città in ordine di importanza considerano: le opportunità lavorative, l’organizzazione e le strutture scolastiche, e l’offerta culturale. Mostre, teatri, festival sono un grande volano non solo per i turisti, ma anche per residenti ed aspiranti tali. Del resto un articolo su 4 dedicato a Lione parla di attività culturali. Il 7% degli articoli che riguardano Lione sono dedicati all’Opera. Siamo al secondo posto, dopo la squadra di calcio che è all’11”.

Giorgio Vitali
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