20/06/2012
Il coreano Jung-Hoon Kim, vincitore del concorso "Voci verdiane".
A Busseto – mitica patria di Verdi e dal 1961 sede del Concorso intitolato alle «Voci verdiane» – è finita come al solito. Dei 140 iscritti (cifra record) e 110 partecipanti effettivi, una severa giuria composta da sette membri (presidente il nostro celebre baritono Leo Nucci) ne ha individuato dieci da portare in finale: due tenori (entrambi sudcoreani), due baritoni (un lettone e un sudcoreano), due bassi (un italiano e un sudcoreano), quattro soprani (due italiane, un’armeni e una statunitense), con la totale assenza della voce, peraltro tipicamente verdiana, del mezzosoprano.
I tre premi in palio sono andati – manco a dirlo – ad altrettanti sudcoreani. La cosa però non è passata sotto silenzio. Alta si è infatti levata la voce di Sabino Lenoci, direttore della rivista l’opera, che ha contestato le scelte della giuria, affermando, in modo provocatorio, che il Concorso deve esprimere voci “verdiane” e non coreane. Per la verità il problema del sudcoreanismo di massa, che affligge i concorsi italiani di canto (specie settentrionali), l’avevo sollevato io stesso in occasione del penultimo concorso Viotti, arrivando a una proposta anch’essa provocatoria ma tutto sommato non insensata. Si tratterebbe infatti di coinvolgere finanziariamente il governo di Seul invitandolo a contribuire all’organizzazione dei concorsi italiani, dai quali i cittadini sudcoreani ricevono regolarmente prestigio e più o meno ingenti somme di denaro, ferma restando l’ipotesi di rivedere drasticamente i criteri di ammissione, riservandola ai cittadini europei.
Jootaek Kim, secondo classificato.
Detto questo, il responso artistico della giuria desta comunque qualche
perplessità. Ammessa senza discussione l’importanza di gran lunga
predominante della voce del vincitore, il 24enne tenore Jung-Hoon Kim,
c’è da sottolineare la l’eccessiva carica di energia infusa nell’aria
del terzo atto di Un ballo in maschera. Era questo un cavallo di
battaglia del grande Carlo Bergonzi, acclamato genius loci e presidente
onorario del Concorso, che probabilmente avrebbe espresso qualche
giustificata riserva sul modo di cantare del sudcoreano, affiancandogli
per un ex aequo l’altro tenore Seung-Hwan Yun, meno appariscente del
collega ma in compenso capace di sfoggiare una più meditata linea di
canto.
Sotto questo profilo il migliore di tutti è stato però il
baritono Jootaek Kim, che ha cantato un «Balen del suo sorriso» da
manuale: bel timbro, dizione eccellente, comprensione di ciò che canta,
il suo ascolto è stato una vera delizia. Disco rosso, infine, sul
versante femminile, dove – dopo anni di predominio quasi assoluto –
nessuna delle quattro finaliste è stata giudicata meritevole di salire
sul podio.
Giorgio Gualerzi