02/10/2011
Leo Ortolani, 44 anni, è uno dei disegnatori più seguiti del momento.
«Se la vita ha un senso – scrive Leo Ortolani – deve essere il senso dell’umorismo». E nelle opere di Leo vita ce n’è tanta, e umorismo in razione doppia. Leo è il più acclamato autore italiano di storie a fumetto. Con la serie eroicomica Rat-Man, giunta al numero 86, ha ottenuto numerosi riconoscimenti e di recente il premio “Fede a strisce”. Il segreto del suo successo? Saper raccontare le storie di tutti con uno sguardo nuovo e divertito, epico e umoristico allo stesso tempo. Compresa la vita familiare. E un argomento trincerato nella serietà come quello dell’adozione. Basta il titolo del suo primo libro non a fumetti per rendersene conto. Due figlie e altri animali feroci (Sperling&Kupfer, pp. 192, € 16,00) non è solo il diario di un’adozione internazionale, ma il viaggio avventuroso di chi parte alla ricerca dei propri figli.
- Leo, vado con la domanda di rito: com’è nato questo libro?
«Eh? Quale libro? Dici il mio? Ah!Ah! Adulatore! Non è un libro, dai! Non sono uno scrittore di libri, altrimenti avrei già scritto I cerchi nel grano li hanno fatti i templari, riscuotendo un clamoroso successo di vendite e di critica. Invece questo qui, questo che in fondo sì, è fatto come un libro, lo pubblica la Sperling & Kupfer, ha un prezzo che se non sai leggere è meglio non comprarlo, questo qui, dicevo, sarà un libro di sicuro, mica si sbaglieranno, no? Ecco, questo libro all’inizio erano delle lettere. Lettere che ho scritto ai miei familiari quando sono andato in Colombia con Caterina, a prendere le nostre figlie. Come siano finite laggiù, a distanza di migliaia e migliaia di chilometri, resta uno dei più grandi misteri dell’adozione. Infatti la chiamano adozione internazionale, perché devi prendere l’aereo e andare all’estero, che i tuoi figli sono là. Anche in spiaggia è un attimo. Le vedi che sono lì che giocano con la sabbia, ti volti per rispondere al vicino di ombrellone, quando ti volti ancora, sono già in Polonia. E queste lettere le ho scritte perché volevo che restasse qualcosa di più dei ricordi e delle foto, di quei 45 giorni passati là, 45 giorni in cui sono diventato papà e Caterina è diventata mamma e adesso hai voluto la bicicletta, pedala.
Poi qualcuno, in particolare Andrea Plazzi, che dal 1997 mi aiuta a mettere insieme i pezzi della mia serie a fumetti Rat-Man, ha suggerito che queste lettere potevano anche diventare un libro.
Io ho detto “Eh? Quale libro? Dici il mio?”. E via, di nuovo».
Uno dei disegni che corredano "Due figlie e altri animali feroci" di Leo Ortolani.
- La via crucis dei medici, lo scarto della fecondazione assistita, infine
la scelta…
«Perché l’adozione? Perché un giorno sei lì seduto, hai quasi
quarant’anni (beh, no, ne hai magari solo 34, ma fai già quello
brizzolato dentro) e ti sembra che manchi qualcosa. E un po’ di ansia,
ti viene, poi invece no, il portafoglio l’avevi messo lì sull’altra
sedia, ffiuuuu.
Però non sei mica tranquillo lo stesso. Allora lo apri, e vedi che ci
sono tutti i soldi, non manca niente. Allora cos’è che manca? Insomma,
ci abbiamo messo un po’, prima di accorgerci che mancavano le bimbe,
meno male che c’era Caterina, sennò ero ancora lì a controllare dentro
le custodie dei Dvd se c’erano tutti i film. Inizia così».
- E come continua?
«Adesso non sto qui a spiegare la rava e la fava, ma c’è un sacco di
gente attraverso cui devi passare, prima di sapere dove sono finiti i
tuoi bambini. Psicologi, assistenti sociali, segretarie, impiegati,
giudici, troll e il mago Silvan. Silvan, gentilissimo come sempre, con
quel suo grande sorriso ci ha fatto comparire le foto delle bimbe. Giuro
che non so come abbia fatto. Bravissimo! E allora eccole lì, Johanna e
Lucy Maria, una che sorride, l’altra che sembra dire: “Adesso ti metto a
posto io, papi”».
- Perché proprio due sorelline?
«Non è che noi abbiamo chiesto due bimbe, mica si può andare lì a
chiedere “Buongiorno, mi dà due bimbe? Sono fresche, eh, signora? Mica
come quel bimbo di ieri l’altro che un po’ puzzava già”. No. Vai lì e
dici “Scusate...” (devi fare l’umile sennò col cavolo che ti danno
qualcuno), “...scusate...” (e intanto fai cenno di inchinarti e aspetti
che con un impercettibile gesto della mano ti facciano segno di
rialzarti), “...scusate”, dici, “avreste visto per caso i nostri
bambini?”. E loro, dopo dieci anni ci hanno detto: “Eccole qui, le
vostre figlie. Sono in Colombia.” E noi “Grazie, grazie” e siamo andati a
prenderle. Non puoi mica scegliere. Ma nemmeno loro, scelgono. C’è
Qualcuno che le ha già scelte da tempo, per noi. Per questo, abbiamo
aspettato dieci anni, perché non erano ancora nate! A quel punto, Lui le
ha fatte crescere un po’, perché siccome ci conosce, ha anche scritto
il nostro nome sul palmo della sua mano, ha pensato: “Questi due sono un
po’ imbranati, gli risparmio giusto i primi anni, e poi gliele mando”.
Ma non c’è alcun dubbio che loro siano le nostre figlie. Fin
dall’inizio. Fin dal primo giorno che ci siamo visti. Non potevano
essere che loro. Non so come faccia, ma del resto ha creato il cielo e
la terra, se non le sa fare Lui, queste cose. Poi, per mantenere l’aura
di mistero, ci fa consegnare le foto da Silvan».
L'ironia non manca certo a Ortolani: come si evince da questo disegno.
- Questo non è un libro di denuncia, ma sta di fatto che avete optato per
l’adozione internazionale. Anche per difficoltà burocratiche?
«Le difficoltà burocratiche ci sono, ma del resto, era inutile cercarle
in Italia, erano in Colombia! E poi, quando le abbiamo cercate in
Italia, non erano nemmeno nate! Hai voglia, a cercarle! Anche la
burocrazia mica se le poteva inventare! Fingono di metterci un sacco di
tempo perché, poveretti, non sanno nemmeno cosa dire. Allora, per
tenerci un po’ occupati, che un genitore adottivo lo devi tenere
occupato, altrimenti pensa troppo, ti fanno fare un sacco di documenti,
di giri assurdi, di firme e controfirme. Ma bravissimi, a inventarsi
tutti quei documenti! Capirai, mica ne hanno visti due o tre, di
genitori adottivi in cerca dei loro figli! Oramai sono in grado di farti
rifare un documento con una naturalezza, che resti lì a bocca aperta e
poi applaudi.
Guarda, sono stati dieci anni pieni di emozioni. Però, se avessi potuto
scegliere, avrei preferito un pomeriggio a Gardaland».
- Nel libro il vostro rapporto con le bambine appare molto libero,
divertito e privo di apprensioni...
«È privo di apprensioni? Non lo sapevo. L’altra sera eravamo sul divano,
Caterina e io, angosciati dalla riapertura delle scuole. Che il sistema
scolastico, da quando eravamo studenti noi, ha fatto dei grandi passi.
Non si sa dove, però. Speriamo che queste due bimbe riescano a capirlo
meglio di noi. Johanna, poi, ha un grandissimo senso dell’orientamento e
una memoria straordinaria. Ci affideremo a lei, per uscirne fuori. Lucy
Maria invece è più diretta: si è semplicemente sostituita alle sue
maestre. Concorrenza diretta in classe. Stiamo mica lì a scherzare, che
l’asilo è una cosa seria».
Leo e moglie alle prese con gli "effetti collaterali" dell'adozione.
- Beh, intendevo che vola perfino qualche scappellotto. I "teorici
dell’adozione" approverebbero?
«Vorrei correggerti con la terminologia: parli di scappellotti, ma qui
volano le patacche. È ben diverso. Sai com’è, quando la Lucy fa il
numero dell’esorcista in strada, vorrei tanto che ci fosse un teorico
dell’adozione a darle un bell’abbraccio contenitivo. Posso stare a
guardare?
Ovviamente cerchiamo sempre di non usare le patacche e di spiegare alle
bimbe che non devono fare certe cose, perché sono sbagliate. Solo che in
questo caso, la mia noiosità dialettica raggiunge livelli tali che Lucy
esclama: “Ma baaasta, papà, baaastaaa, abbiamo capitoooo, ma baaastaaa”
e Johanna mi guarda come per dire: “Posso avere una patacca e la
finiamo qui?”».
- Credo però che le tue figlie te la faranno pagare per aver scherzato
pubblicamente sulle loro attività fisiologiche meno nobili...
«La caccona, dici? E che sarà mai… La facciamo tutti! Solo che quando
sei piccolo ti capita di farla nel posto sbagliato e nel momento
sbagliato, generando, per forza, un’aneddotica familiare.
Anche la zia Betta, mi dice che un giorno me la faranno pagare. Perché
invece adesso, che devo tirare via i pezzettoni da dentro le braghette,
cos’è? Un anticipo di pena?
Comunque le due bellezze stanno crescendo e questi momenti di
retroattività vanno regolandosi sempre più. Grazie a Dio Todopoderoso».
- Posso fare una domanda a tua moglie? Caterina, Leo parla sempre di te ma
non ti passa mai il microfono... almeno ti fa leggere quello che
scrive, prima di pubblicarlo?
«E secondo te, credi che le passerò il microfono adesso? Ma dai,
su! Ho tre donne in casa, adesso, lasciami almeno l’illusione di poter
contare qualcosa in qualche campo, come questo del racconto. Ovviamente
Cate legge tutto quello che scrivo riguardo all’argomento, prima che
venga pubblicato. E poi preferisco che le mie donne restino così,
sospese in quell’irraggiungibile aura di leggenda. Sono un autore di
storie, è così che si creano i personaggi. Lasciandoli il più possibile
all’immaginario dei lettori».
- Domanda di rito finale: un consiglio per chi inizia la corsa a ostacoli
dell’adozione?
«Care amiche, cari amici. Voi che avete i vostri figli chissà dove,
rilassatevi. Alla fine vi diranno tutto. Non è che adesso non ve lo
dicono per cattiveria. Non lo sanno nemmeno loro, dove sono. Sono
bambini, si divertono a nascondersi. Per cui va tutto bene. Basta con
quelle facce tristi, quelle tipiche facce da genitori adottivi che
sembra che vi abbiano dato una multa per divieto di sosta, fate per
prenderla dal tergicristallo, pestate una cacca. E avete le scarpe con
il carrarmato. Coraggio! Sorridete! Fate le vostre cose, uscite, andate
al cinema, andate in pizzeria, fate tardi con gli amici, fate
passeggiate romantiche e vivete la vostra vita. Perché prima o poi, care
amiche e cari amici, i vostri figli li troveranno. (Segue suono di
violino zin! zin! zin! zin! Come nei film della serie Halloween)».
Paolo Pegoraro