17/06/2011
La copertina del libro delle parole altrimenti smarrite.
Che vorrà mai dire “ciammengola”? È nata così, dalla curiosità per una parola disusata e ormai pressoché ignota, l’idea venuta a Sabrina D’Alessandro, trentenne, pubblicitaria di professione, di istituire un ufficio Risurrezione parole smarrite, da cui è nata anche una pubblicazione: il libro delle parole altrimenti smarrite (Rizzoli).
Non è un dizionario e neppure un lavoro scientifico dal punto di vista del linguista, Sabrina D’Alessandro è la prima ad ammetterlo: «Non lo è perché le parole non sono il mio lavoro, semmai un hobby. Se, infatti, è vero che le parole sono parte integrante del lavoro di un pubblicitario, qui ha agito soprattutto la curiosità personale, la suggestione delle parole perse, senza pretesa di esaustività. Il mio, al massimo, può essere un punto di vista artistico, che gioca con suoni sconosciuti e con i loro significati attraverso percorsi che non si sono limitati al catalogo ma che sono diventati oggetto di altri esperimenti artistici figurativi».
E infatti la parola “ciammengola”, che significa bazzecola, cosa di poco conto, è diventata una piccola scultura: una targa di ottone con la parola incisa, circondata da un presidio di soldatini, quasi a difenderla dall’oblio. Non tutte le parole del libro, in effetti, sono altrettanto smarrite, un parlante colto adopera ancora, magari con tono scherzoso, parole come sesquipedale, leccarda, cuccuma, burbanzosa, baciapile o diuturna.
Altre, come salamoia o trebisonda, le adoperiamo tutti, ma abbiamo perso in parte la coscienza di tutti i loro significati. Segno che la lingua è qualcosa di soggettivo, mobile, condizionato dalla cultura di chi parla: le parole perse non lo sono per tutti, ma è vero che a chi sappia accendere la curiosità per una parola dimenticata va dato il merito che si deve a chi disseppellisce un piccolo tesoro.
Elisa Chiari