«Mio padre e l'Alzheimer, come un re»

Lo scrittore Arno Geiger racconta in un libro vero e toccante la sua esperienza accanto al genitore colpito dalla malattia: «Mi impressionano la sua calma e serenità».

27/04/2012
Un figlio accanto al padre colpito da Alzheimer: è il tema del libro di Arno Geiger.
Un figlio accanto al padre colpito da Alzheimer: è il tema del libro di Arno Geiger.

C’è qualcosa di nobile, epico, eroico nella rappresentazione che lo scrittore austriaco Arno Geiger dà dell’ultimo lungo atto –peraltro ancora in corso – della vita di suo padre. Appare come Il vecchio re nel suo esilio l’anziano genitore che, pur ferito (da un dolore inguaribile), segnato (dallo stigma di una malattia degenerativa), sconfitto (dall’Alzheimer che ha preso possesso di lui), isolato (nello stato confusionale e solipsistico in cui lo relega la demenza) conserva la sovrana dignità di un padre.

Al figlio che ha raccontato di lui in un romanzo uscito in Germania un anno fa e tradotto ora per Bompiani abbiamo chiesto anzitutto: attualmente suo padre August come sta? «Siamo tutti stupiti, sta incredibilmente bene. Vive sereno nel suo ricovero e le sue condizioni si sono stabilizzate. Non è ancora sopravvenuto l’istante della fine che, inesorabilmente conclude ogni vita e ogni racconto cui accenno con i versi di Shakespeare alla fine del romanzo: «Let us sit upon the ground and tell sad stories of the death of kings…».

Come è riuscito ad accettare la situazione di una lenta perdita e a darle un senso?
«Per necessità. Superata l’ingiustificabile, ma certo comprensibile rabbia iniziale, vinto lo smarrimento e l’acuto senso di impotenza di fronte a questo male, per il bene di tutti è stato inevitabile cercare di vedere gli aspetti positivi di una sorte tanto triste».

All’inizio del romanzo lei cita un proverbio russo secondo cui «nella vita nulla ritorna tranne i nostri errori». Come se nel carattere, nelle naturali inclinazioni e debolezze di suo padre fosse già inscritto il suo destino…

«Avevo pensato a quel proverbio all’epoca delle prime avvisaglie del morbo non ancora diagnosticato. Credevo che, invecchiando, mio padre andasse rafforzando i lati peggiori del suo carattere: la tendenza a isolarsi, a chiudersi in sé stesso, a evitare contatti, ad aggrapparsi alle sue abitudini e manie. Invece era la malattia che agiva su di lui. Destino, non direi: è stata solo sfortuna». 

Lo scrittore Arno Geiger (Blackarchives).
Lo scrittore Arno Geiger (Blackarchives).

La vicinanza a suo padre malato che cosa di nuovo le ha fatto scoprire di lui?
«La vera sorpresa è stata notare la calma inattesa che, man mano che papà perdeva il controllo di sé stesso, si diffondeva in lui. È sempre stato un uomo piuttosto ansioso, agitato, ora invece – e non per una resa o per rassegnazione – appare più tranquillo e rilassato».

Il fatto che ad ammalarsi fosse suo padre – una figura fortissima, l’emblema più potente dell’autorità – ha reso questa esperienza più significativa e dolorosa per lei?
«Anche mio nonno è morto di Alzheimer. Tuttavia io non ho mai pensato, nemmeno per un istante, ai rischi che - nell’eventualità di contrarre il morbo per via ereditaria - potessi correre io stesso. Mi sono sempre preoccupato solo di lui, della sua salute e del suo benessere. Quanto a me, chi lo sa, forse tra dieci anni questa malattia sarà curabile».

Suo padre si è ammalato a metà degli anni Novanta, proprio quando lei iniziava ad avere un vero successo come scrittore. Rimpiange di non aver potuto condividere con lui questa gioia?
«Ma la stiamo condividendo. Proprio con il romanzo che racconta la sua storia ho toccato il culmine del successo, e questo fa bene anche a lui. A Wolfurt tutti lo guardano con rispetto, nella casa di riposo, ha la fama di un eroe: circondato da medici, infermieri ed amici è davvero il vecchio re nel suo esilio».

Alessandra Iadicicco
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Postato da LucianoT il 28/04/2012 19:48

Non posso nè voglio entrare nei particolari della vicenda familiare dello scrittore austriaco, perchè so molto bene quanto sia faticoso e talvolta poco poetico vivere con un familiare la cui mente, con il passare degli anni, si immerge sempre più in un luogo nel quale raramente (pur talvolta inaspettatamente) si è autorizzati ad entrare. L'unica perplessità che sorge dalla lettura dell'intervista, è il lasciar passare come "normale" il messaggio che il padre vive "sereno nel suo ricovero": finchè è possibile, i parenti malati (specie se genitori) a mio parere non dovrebbero essere parcheggiati in simili strutture, anche se eccellenti e funzionali. Quando non c'erano i "ricoveri" (ma chiamiamoli pure per quello che sono, "ospizi", anche se non è un vocabolo gradevole), gli anziani, anche con tutti i sacrifici che questo comportava, vivevano con le famiglie fino all'ultimo secondo della propria esistenza, era una cosa scontata; ora lo è molto meno, ma mi piace pensare di non essere l'unico a pensarla (e a viverla) così.

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