23/08/2012
Il nostro patrimonio culturale genera occupazione e un forte indotto economico (foto Tips).
Certi luoghi comuni sono duri a morire, anche di fronte all'evidenza oggettiva dei numeri. Fra questi, resiste e prospera quello secondo cui la cultura, intesa come il complesso del nostro patrimonio monumentale, artistico e paesaggistico sia - a seconda degli interpreti di turno - un lusso, un costo, una cosa tanto bella quanto priva di ricadute economiche e, soprattutto, incapace di dare lavoro. In questo sito ci siamo occupati più volte dell'argomento, mostrando, dati alla mano, come l'ormai celebre sentenza tremontiana («Con la cultura non si mangia») sia, prima di tutto, un'affermazione falsa.
A darne l''ennesima dimostrazione scientifica, fondata cioè su risultati di ricerche condotte con criteri rigorosi, non su chiacchiere o opinioni, sono giunti in questi giorni due autorevoli studi: quello di Symbola, "Fondazione per le qualità italiane", e quello di Unioncamere. Ricche, entrambi, di dati soprendenti, almeno per chi è ancora ancorato a un'idea vecchia di innovazione, impresa e attività economica. Andiamo a vedere cosa dicono le due ricerche.
Il 5,4 per cento della ricchezza prodotta, equivalente a quasi 76 miliardi di euro, provengono dal comparto cultura. Che dà lavoro a un milione e quattrocentomila persone, il 5,6 per cento del totale degli occupati. Superiore, per intenderci, al settore primario o a quello della meccanica. E se si allarga lo sguardo dalle impese che producono cultura in senso stretto - industrie culturali e creative, patrimonio storico-artistico e architettonico, arti visive e performing art - a tutta la filiera di settore, insomma all'indotto, il valore prodotto schizza al 15 per cento del totale dell'economia nazionale e impiega ben 4,5 milioni di persone, il 18,1 per cento degli occupati.
Visitatori in attesa di entrare agli Uffizi di Firenze (foto Ansa).
Tutti i dati che avete letto sono contenuti nel rapporto "L'Italia che verrà" elaborato da Symbola e Unioncamere in collaborazione con la Regione Marche. Altro dato molto significativo è quello che fotografa la tendenza del quadriennio 2007-2011: la crescita del valore delle imprese del settore cultura è stata dello 0,9 per cento annuo, più del doppio rispetto all'economia italiana nel suo complesso (0,4 per cento). Nonostante la crisi, la tenuta occupazionale è stata caparbia: nel medesimo periodo gli occupati nel settore sono cresciuti dello 0,8 per cento all'anno, a fronte di una flessione dello 0,4 per cento subita a livello generale. Ancora qualche cifra interessante. Nel 2011 il bilancio commerciale del settore si è chiuso con un saldo di 20,3 milioni di euro. Il che significa che la cultura ha contribuito, seppur in modo contenuto, alla ripresa del Pil.
Qual è la capitale della cultura come motore economico? Arezzo: qui, il valore aggiunto della cultura ha toccato l'8,4 per cento del totale della Provincia (la media nazionale si attesta al 5,4). Al secondo posto, a pari merito, Pordeonone e Milano.
Altra ricerca, medesimi scenari e medesime cifre. Questa volta a condurre l'indagine è direttamente Unioncamere, che non si limita a fare bilanci, ma getta uno sguardo al futuro: nel 2012 sono previste 32.250 assunzioni nella cultura. Di queste, quasi 23 mila saranno stabili, e 9.370 stagionali. Fra il 2007 e il 2011 i posti di lavoro creati sono stati 55 mila. Quali profili professionali cerca l'industria culturale? Personale altamente specializzato. In controtendenza rispetto all'economia generale, qui i titoli di studio e la laurea contano molto.
Conclusioni? «Sembra un paradosso - ha detto Ferruccio Dardanello presentando la ricerca al Meeting di Rimini -, ma in Italia manca un quadro organico di politiche economiche basate sul potenziale produttivo del settore culturale. Purtroppo è ancora diffusa l'idea che con la cultura non si mangi, ma i successi del made in Italy, di cui tanta parte discende proprio dalla nostra cultura del fare e del vivere, vengono da questo patrimonio inesauribile. Che va messo a frutto con politiche che devono partire fin dai banchi di scuola, per mettere in condizione i nostri giovani e le loro famiglie di cogliere le tante opportunità che vengono dall'industria culturale, e maturare presto quell'esperienza indispensabile per conseguire un lavoro di qualità».
Gli fa Eco Ermete Realacci, presidente di Symbola: «L’Italia deve fare l’Italia. È necessario fronteggiare la crisi finanziaria e il debito pubblico senza lasciare indietro nessuno, ma per risanare l’economia serve un’idea di futuro. Non possiamo che puntare su innovazione, ricerca, green economy, e incrociarle con la forza del made in Italy, con la qualità, con la bellezza. La cultura è l’infrastruttura immateriale fondamentale di questa sfida».
Parole sante: qualcuno le ascolterà?
Paolo Perazzolo