E l'uomo bianco andò in crisi

Eraldo Affinati legge per noi "Honolulu e altri racconti" di William Somerset Maugham: descrizione della fine dell'impero occidentale e della sua pretesa di autosufficienza.

28/10/2010
Erlado Affinati commenta "Honolulu e altri racconti" di Maugham.
Erlado Affinati commenta "Honolulu e altri racconti" di Maugham.

I grandi scrittori inglesi vissuti a cavallo fra Otto e Novecento ci fanno sentire, in modi spesso nostalgici, il sentimento di un mondo che sta per finire: fin quando la Red Ensign sventolava sui mercantili del Regno Unito, entrando vittoriosa nei porti conquistati, l’uomo britannico, prestigioso rappresentante di quello occidentale, poteva illudersi di essere una guida civilizzatrice per tutti gli altri popoli, ma nel momento in cui l’impero cominciò a scricchiolare, anche molte certezze si sbriciolarono, trasformando i comandanti supremi di un tempo in prede inermi di una solitudine disperata.

Ecco perché i libri di William Somerset Maugham, a tanti noto come autore della Luna e sei soldi, in cui romanzò la vita del pittore Paul Gauguin, in esilio volontario nelle isole del Pacifico, alla ricerca di ispirazione, possono essere, ancora oggi, davvero significativi: illustrano, con uno stile talmente ricercato da risultare desueto, l’angustia e l’atrofia cui è destinato chiunque pensi di essere autosufficiente, rinchiuso dentro la propria identità quasi fosse una fortezza inespugnabile.

Anche i racconti compresi in quest’ultima raccolta, Honolulu (Adelphi), mettono al centro amministratori, affaristi e diplomatici confinati all’interno dei loro possedimenti, in Malesia, nel Borneo, alle Hawaii. I funzionari coloniali non riescono a parlare con gli abitanti locali, gli indigeni, dei quali finiscono per diventare le prime vittime. Maugham, riprendendo da Rudyard Kipling l’ambientazione esotica e da Joseph Conrad la tecnica del punto di vista neutro assicurato da un testimone esterno, indaga le passioni più fosche e travolgenti di questi uomini e donne bianchi, logorati da un tarlo invisibile, che piano piano, inesorabilmente, li distrugge. Lo scarto fra i prati ombrosi dei giardini coltivati, ai cui tavoli sistemati all’aperto eleganti signore sorseggiano un cocktail, e il fogliame intricato della jungla poco distante, attraversato da altre donne per andare a raccogliere l’acqua del pozzo, ci fa pensare a una frontiera che al tempo del colonialismo era materiale ma oggi, purtroppo, invece di scomparire, è diventata interiore.

Eraldo Affinati
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