29/11/2012
Laura Lepri a lezione.
Una delle rivoluzioni portate dalla rete in campo editoriale si chiama self-publishing. In altri termini, chiunque voglia scrivere e pubblicarsi un libro, oggi può: internet glielo permette, a costo zero, senza editing, correttori, né distribuzione. “È così. Ed è una autentica rivoluzione culturale. Ma esisterà sempre (per fortuna, aggiungiamo noi) una differenza tra Philiph Roth e le Cinquanta sfumature di grigio, anche se quest’ultimo vende molto di più del primo. Era così anche nell’Italia del ‘500: c’erano libri che vendevano tantissimo, ma che non hanno lasciato alcuna traccia di sé. Il Cortigiano del Castiglione, invece, è rimasto”.
Il paragone tra il Rinascimento e giorni nostri non è casuale. A farlo è Laura Lepri, che di questi argomenti se n’intende, essendo anzitutto editor e consulente editoriale di professione, e poi anche autrice del libro Del denaro o della gloria,
appena uscito da Mondatori, una non-fiction novel ambientata, appunto,
nella Venezia del primo ‘500, tra librai e tipografie, l’allora
rivoluzionaria “industria” nascente. A quei tempi, la città lagunare era
una delle indiscusse capitali europee della stampa, un ambiente nel
quale interagivano scrittori, artigiani del torchio e non ultimi gli
“editor”, i correttori dei testi da editare. E proprio a Venezia Lepri,
che è fiorentina d’origine, ha trascorso gli anni della formazione
culturale, abitandovi per 15 anni.
Il libro di Laura Lepri pubblicato qualche settimana fa.
Protagonista del libro, guai a chiamarlo romanzo perché è tutto documentato fino all’ultimo particolare, è proprio un redattore, Giovan Francesco Valier, che assunse l’incarico di correggere quello che sarebbe diventato un vero bestseller: Il cortigiano di Baldassar Castiglione.
Perché s’è appassionata delle vicende oscure di un “editor” vissuto cinque secoli fa?
“Perché la storia di Valier, chierico di fine cultura, arguto intrattenitore, amico di letterati e potenti, è perfetta per un racconto: c’è il noir, l’intrigo internazionale, il gossip e il finale drammatico. E poi perché Valier rappresenta un mio ‘avo professionale’”.
La rivoluzione della stampa nella Venezia del ‘500 ha evidenti analogie con la rivoluzione portata da internet. È così?
“Certo. Si chiude un’epoca, quella degli amanuensi e se ne apre un’altra. Ho volutamente calcato la mano per sottolineare questo nesso col il presente. Il libro guarda indietro, ma per far capire cosa sta accadendo oggi. Con l’avvento dell’e-book, per esempio”.
E cos’ha scoperto?
“Che ci si contendeva già allora la stampa di un libro in ogni maniera, lecita o meno. Oppure che i libri a nove euro e 90 centesimi, gli ‘economici’, non se li sono inventati i contemporanei, bensì i Giunti di Firenze cinquecento anni fa. Insomma le polemiche contemporanee in questo ambiente e nel nuovo mercato editoriale, a confronto, fanno sorridere”.
Perché?
“Perché ne capitavano ben di peggio nel ‘500, appena comparso sulla
scena il libro stampato. E raccontarlo aiuta a relativizzare le nostre
diatribe sulla qualità dei libri, così si esorcizzano le paure del
nuovo”.
A proposito, il destino del libro cartaceo è segnato?
“Non lo dico io, lo dice Amazon che già un mese fa annunciava il
sorpasso di vendite dell’e-book sul libro cartaceo nel mercato inglese.
È solo questione di tempo. Per ora libro ed e-book convivranno l’uno
accanto all’altro. Così come sopravvissero gli scribi accanto agli
stampatori”.
Ma in tanti oggi hanno perso il posto di lavoro…
“Ogni rivoluzione porta le sue vittime. Non c’è più la lama della
ghigliottina, ma la filiera che salta. O cambi, o soccombi. I cosiddetti
‘nativi digitali’ che andranno a scuola tra qualche anno, d’altra
parte, avranno nozione del libro di testo solo per memoria indiretta dei
loro genitori. Non si devono temere le rivoluzioni tecnologiche, né
serve assumere posizioni passatiste o reazionarie”.
Cioè?
“Per esempio, chi difende il cartaceo solo perché è bello sentire il
profumo della carta o stupidaggini simili. Sono posizioni inutilmente
snob. La stessa cosa accadeva nei confronti dei libri nel ‘500: il
Sannazaro, che era un fine letterato, diceva: ‘La stampa non mi
riguarda, io scrivo a mano’”.
Laura Lepri nel suo studio.
Nel suo libro si muovono personaggi di grande statura intellettuale: dal Bembo all’Aretino, dal Manuzio al Tasso. E nel panorama editoriale italiano d’oggi…
“Nel ‘500 esisteva una società letteraria compatta, sebbene variegata. La nostra generazione, da questo punto di vista, è assai più sfortunata perché ha visto la morte di quella società letteraria, sopravvissuta fino agli anni ’90 del secolo scorso”.
A chi allude in particolare?
“Esistevano vari circoli letterari. E vi si entrava per cooptazione, perché qualcuno decideva di aprirti la strada”.
Oggi non è più così?
“Oggi esiste solo il caos. Non c’è più una auctoritas culturale riconosciuta. Non c’è più Calvino che dice a Del Giudice ‘sei uno scrittore’. Non ci sono più Moravia, la Morante o Pasolini a detenere autorità simili”.
Lo stesso concetto di opera e autore è mutato con il digitale. È così?
“Sì. Internet, per esempio, non dà più memoria delle versioni precedenti. Perdiamo la genesi di un libro. Per un filologo è una tragedia. Per noi lettori molto meno, e forse anche per l’autore. È il concetto di autorialità che sta cambiando. Ancor di più per noi italiani, che abbiamo sempre avuto un concetto sacrale dell’autore. Eccessivo. Nelle società anglosassoni lo è molto meno: l’autore è un artigiano che divulga, un narratore”.
Rimpiange qualcuno che oggi saprebbe dire cose "illuminanti" in merito?
“Sento la mancanza di alcune persone intelligenti. Come Pontiggia, per fare solo un nome”.
Eppure oggi un autore è possibile pure che non abbia scritto il libro che firma; nel senso che qualcun altro lo ha fatto per lui…
“Ma anche questo accadeva già nel ‘500. Io, comunque, riscrivo libri in continuazione. Ma se vuole i nomi di questi ‘autori’ aiutati…neanche sotto tortura”.
A quale mestiere paragonerebbe l’editor?
“A quello di una sarta che taglia l’abito su misura al suo autore”.
Siete accusati di essere piegati al mercato…
“Ma l’editoria è anche mercato, oltre a essere cultura. Altrimenti chiude”.
Sa tanto di difesa d’ufficio…
“E perché no? Do solo a Cesare quel che è di Cesare. Ci vuole ancora qualcuno che mandi in tipografia un libro. Ed è sempre stato così”.
Alberto Laggia