Empatia o estinzione

Crsisi energetica e cambiamento climatico non ci lasciano scampo. A meno che...

06/04/2010

«Dopo le elezioni in Iran, la gente si è riversata sulle strade per protestare. Una giovane donna, Neda, è stata uccisa. Qualcuno è riuscito a riprendere con il telefonino quel corpo senza vita e a diffonderne il video nel mondo attraverso Internet. Ricordo che i ragazzi che lavorano nel mio ufficio, negli Stati Uniti, osservavano quelle scene sul loro telefonino o al computer. Sono certo che, in quel momento, provavano gli stessi sentimenti di un iraniano e che avrebbero voluto, in qualche modo, essere vicini a quel popolo».
 
L’immagine di un gruppo di ragazzi americani che, sullo schermo del loro cellulare o del loro Pc, si commuovono per il destino di una ragazza che è morta agli antipodi – geografici e culturali – del mondo, è un buon punto di partenza per raccontare La civiltà dell’empatia (Mondadori), l’ultimo saggio di Jeremy Rifkin, una delle menti più innovative e influenti dei nostri tempi. Un testo straordinariamente ricco di suggestioni, spunti, stimoli, nel quale sono confluiti studi vastissimi («ho impiegato sei anni a scriverlo») che hanno prodotto una tesi rivoluzionaria: l’uomo è empatico per natura e quella che stiamo vivendo è la civiltà dell’empatia, grazie al convergere di due fattori fondamentali: un nuovo modello energetico (il passaggio dal petrolio alle energie rinnovabili) e un nuovo sistema di comunicazioni (la Rete e Internet).
 
L’obiezione è tanto ovvia quanto radicale: la storia è un cimitero di morti per guerre, genocidi, stermini, e il presente non ha un volto migliore, dalle Torri gemelle al conflitto in Irak... «È difficile immaginare che l’empatia costituisca la nostra natura più profonda, anche perché gli storici hanno una visione patologica delle epoche, in quanto raccontano solo fatti ed eventi negativi», risponde Rifkin. «Hegel diceva: “I periodi di felicità sono pagine vuote della storia”. La nostra stessa vita quotidiana è colma di contrasti, ma anche di gesti di gentilezza, di sintonia. Siamo ancora schiavi della visione illuminista che – con Locke, Smith, Darwin, poi fino a Freud – ci ha dipinto come essere egoisti, protesi per necessità a perseguire il nostro interesse individuale. Le ricerche scientifiche degli ultimi 10-15 anni, in particolare nell’ambito neurologico, cognitivo e biologico, stanno invece dimostrando che l’uomo è essenzialmente homo empaticus».
 
Quello che gli individui del XXI secolo faticano a comprendere è che siamo a un punto critico della storia, il cui esito finale può essere l’estinzione della specie umana sulla terra. «Non si tratta di essere apocalittici, ma di guardare in faccia la realtà», continua l’economista. «L’uomo rappresenta meno dell’un per cento della biomassa, eppure sfrutta il 24 per cento del processo di fotosintesi. In altre parole, stiamo divorando il pianeta, la situazione non è più sostenibile. Due eventi recenti dovrebbero allarmarci. Nel 2008 il petrolio ha raggiunto i 148 dollari al barile, determinando a cascata una crisi dell’agricoltura e un forte rialzo del prezzo del cibo. Qualche mese fa, a Copenaghen, i potenti non sono riusciti a raggiungere un accordo accettabile sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, nonostante i dati sul surriscaldamento climatico siano ormai incontrovertibili. Se questo è il contesto, e se davvero l’individuo è programmato a cercare esclusivamente il proprio tornaconto, allora siamo spacciati. Se la terra è abitata da 6,8 miliardi di cow-boy, non c’è speranza. Io credo invece che la natura dell’uomo sia empatica e che nell’estensione globale e incondizionata di questa predisposizione risieda l’unica possibilità di salvezza».
 
La proposta di Rifkin prevede che ogni persona, o se si preferisce ogni nucleo familiare, si trasformi in una sorta di piccola centrale che produce e immagazzina energie rinnovabili, dal sole e dal vento, per poi distribuirle agli altri (privati, imprese, enti pubblici), utilizzando una versione tecnologicamente avanzata della Rete di Internet. È ciò che lui chiama «capitalismo distributivo » o «socialismo operativo». Non idee astratte o mere utopie, si badi bene, perché progetti ispirati a esse stanno lentamente prendendo forma all’interno dell’Unione europea, del Comune di Roma e della Regione Sicilia (di cui Rifkin è consulente), sulla spinta di riforme edilizie di grande portata. Un’autentica rivoluzione, per una volta non cruenta, bensì collaborativa; non imposta dall’alto, ma “fondata sul basso”, cioè sul coinvolgimento (empatico) di tutta l’umanità.
 
Molti altri temi di La civiltà dell’empatia meriterebbero di essere approfonditi, ma li rimandiamo alla lettura di ciascuno. Qui ci preme non lasciare inosservato un aspetto per noi cruciale. Affermare che l’uomo è, nella sua essenza più vera, empatico, cioè buono e incline all’amore verso il prossimo; che la coscienza della propria vulnerabilità e mortalità, nonché l’esperienza del dolore, affinano tale natura originaria; e che l’umanità si salverà dal disastro ambientale solo stringendo un’alleanza planetaria fra tutti gli esseri viventi (nessuno escluso), fino a formare una famiglia universale (parole di Rifkin), ha delle implicazioni spirituali e persino teologiche di grande significato.

Paolo Perazzolo
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