29/09/2012
Turisti al Colosseo (Corbis).
Si celebra oggi e domani la Giornata europea del patrimonio. L'Italia, insieme ad altri 49 Stati europei, aderisce con lo slogan "L'Italia tesoro d'Europa". Una ghiotta occasione per i cittadini per visitare gratuitamente luoghi d'arte, monumenti, musei (tutte le strutture statali, ma anche alcune istituzioni private hanno aderito). L'iniziativa vuole avvicinare le popolazioni ai beni culturali, archeologici, architettonici, artistici del loro Paese, ma anche invitarli a scoprire le ricchezze delle altre nazioni, favorendo la reciproca conoscenza e comprensione, al di là delle differenze linguistiche e di tradizioni.
Per l'Italia l'evento assume tuttavia anche un'altra connotazione: pur possedendo il più grande patrimonio culturale del mondo, il nostro Paese non si è sin qui mostrato capace né di tutelarlo né tantomeno di promuoverlo e farne un motore economico. L'ennesima conferma di questa triste realtà viene da uno studio
realizzato per la Commissione Ue dalla Rete di esperti
culturali europei (Eenc), da cui emerge un chiaro monito: cambiare strada ora o mai più, perchè dopo
potrebbe essere troppo tardi.
All'Italia difetta una
visione coerente per mettere a frutto le richezze di cui la storia l'ha dotata, considerandole
semplice volano per il turismo. Con il doppio rischio di
vederle presto «spazzato via» tra tagli e mancanza di
politiche adeguate, e di perderle come strumento per uscire
dalla crisi. Un processo, questo, che si riflette già
nell'utilizzo dei fondi Ue, sfruttati dalle Regioni italiane
più per il rafforzamento di servizi orientati al turismo che
per la creazione di nuove infrastrutture culturali.
Una scolaresca a Pompei (Corbis).
«In
Italia, il potenziale economico della cultura è visto come
ancillare al settore turistico», dove «il valore aggiunto
legato alla cultura» è generalmente identificato solo
«nell'impatto del turismo culturale», si legge nello studio
realizzato da Pier Luigi Sacco, docente di Economia della
cultura allo Iulm. Di conseguenza viene messa solo una
«piccolissima enfasi sulla produzione culturale», a
detrimento delle stesse città d'arte italiane, che diventano
sempre più «parchi a tema senza vita culturale».
Una tendenza confermata anche dalle cifre: se l'Italia è il terzo paese Ue
per utilizzo dei fondi strutturali in chiave culturale (dopo
Cipro e Malta) e il secondo (dopo la Polonia) in termini
assoluti, si scopre che la spesa è di oltre il 17% inferiore
rispetto alla media Ue per lo sviluppo delle infrastrutture.
Mentre segna un +19% rispetto agli altri Paesi per
l'allocazione dei fondi nei servizi, legati al miglioramento
dell'offerta turistica. «Uno degli esempi italiani di
maggior successo» citati, è l'operazione di riconversione di
Torino, da città industriale a polo di produzione culturale
che ha saputo attirare non solo turisti, ma anche
imprenditori e creativi. Genova, invece, non ha saputo
sfruttare l'occasione di essere Città capitale della cultura
Ue nel 2004, limitandosi a interventi di restauro del centro
storico con poche ricadute al di fuori di quelle turistiche.
L'approccio italiano ai fondi Ue riflette questa «mancanza
di visione strategica» (esempio «positivo» invece è la
Toscana, per la sua programmazione a lungo respiro) e
«tende» quindi a «premiare approcci poco innovativi». Ma,
sottolinea il rapporto Ue, «se ci fosse un tentativo serio
di dare alla cultura la sua giusta priorità nell'agenda
politica», ci potrebbe essere una «reale possibilità» che
questa dia un «contributo maggiore» alla crescita. E, si
avverte, «nell'attuale congiuntura economica, è
un'opportunità che si ha una volta nella vita». Ma la
tendenza non sembra essere questa: dal 2001 al 2011 il
Ministero per i beni culturali ha visto tagliate del 36,4%
le sue risorse, mentre tra il 2008 e il 2011 la spesa delle
città per la cultura è scesa del 35%. Un «trend molto
pericoloso» che «rischia di spazzare via» l'intero settore,
da cui potrebbe invece arrivare la rinascita economica del
Paese.
Paolo Perazzolo