11/10/2011
L'autore Massimo Polidoro.
È una narrazione delicata e commovente, quella di Massimo Polidoro.
Sembra quasi che, dovendo maneggiare una storia drammaticamente vera e vicina nel tempo, l’autore di “Marta che aspetta l’alba” (edito da Piemme, 196 pagine, 14,50 euro), abbia voluto esserlo in modo particolare, delicato e leggero.
In realtà, si tratta non di una, ma di più storie, che s’intrecciano fra loro e che solo nel finale ritrovano un senso compiuto a questo loro rincorrersi.
Polidoro racconta di matti e di infermieri. Parla di manicomi e di come era facile finirci dentro, sia come “pazzi”, sia come operatori sanitari. Descrive com’erano. O meglio com’era: l’ospedale psichiatrico di Trieste, prima e dopo. Prima di Basaglia e dopo Basaglia.
I fatti raccontati dallo scrittore si svolgono proprio nella “casa dei matti” che rese famoso il rivoluzionario psichiatra italiano.
La copertina del libro, edito da Piemme.
La prima storia vera è quella di Mariuccia Giacomini, entrata come ausiliaria al “San Giovanni”, il manicomio di Trieste quand’era un lager.
Testimone vivente dell’arrivo dello psichiatra triestino, dell’impatto delle sue nuove idee, degli scontri e delle resistenze che provocavano i suoi metodi, della trasformazione, infine, da manicomio-carcere, luogo di sofferenze e violenze (elettroshock e lobotomie incluse) a struttura aperta, rispettosa della persona e della sua dignità.
La seconda storia vera è quella di Marta, che incontriamo fin dalle prime pagine e che cerchiamo poi pagina dopo pagina per vedere se quell’alba che tanto attende arriverà.
Non è un saggio, quello di Polidoro, è un coinvolgente e appassionante racconto che suscita tenerezza ma anche rabbia, stupore ma anche indignazione, compassione ma anche ribellione. Quello di Polidoro è un racconto sconvolgente di denuncia. Ma nello stesso tempo un commosso inno alla vita.
Luciano Scalettari