04/10/2012
Copertina del libro di Vittorio Pezzuto su Enzo Tortora.
Nonostante le polemiche che l’hanno preceduta, o forse anche grazie a queste, la fiction su Enzo Tortora, trasmessa su Raiuno il 29 e 30 settembre, ha tenuto incollati davanti alla Tv quasi sei milioni di spettatori. «È un risultato straordinario», commenta Vittorio Pezzuto, autore di Applausi e sputi. Le due vite di Enzo Tortora (Sperling & Kupfer, 522 pagine, euro 15 – www.tortora.tv), ora ripubblicato, da cui è stato tratto il film.
Qual è il suo giudizio sulla fiction? È stata fedele al libro?
«Sono molto soddisfatto. Ricky Tognazzi ha fatto un ottimo lavoro: ben interpretato e soprattutto rispettoso dei fatti. È chiaro che una fiction ha un linguaggio particolare e bisogna per forza operare una sintesi. Mi auguro, a questo punto, che molti, spinti dalla curiosità, leggano il mio libro dove racconto non solo il Tortora vittima dell’incredibile vicenda giudiziaria ma anche quello degli applausi, l’inventore della televisione moderna, il profondo innovatore del linguaggio televisivo e radiofonico».
Le figlie del presentatore hanno avuto molto da ridire su questa fiction. Perché?
«Non comprendo le polemiche preventive, come in questo caso. Un’opera si giudica dopo che è stata realizzata. Mi è sembrato di capire che abbiano voluto tutelare la memoria del padre. Un’esigenza sacrosanta ma non dimentichiamo che fu proprio Enzo Tortora, con il suo impegno tra le file dei Radicali, a voler fare della sua drammatica vicenda una battaglia politica e civile. Silvia Tortora, una delle figlie, qualche anno fa curò la sceneggiatura del film Un uomo perbene dove però non comparivano né i Radicali né la compagna Francesca Scopelliti. Fu una forzatura evidente».
Chi era Enzo Tortora?
«Una persona seria e rigorosa. Un borghese che credeva nello Stato e nelle istituzioni e aveva grande fiducia nelle forze dell’ordine. Con il suo Portobello aveva portato alla ribalta l’Italia reale, la gente comune. Grazie al suo lavoro, aveva il polso di questo Paese ma non sospettava minimamente che lo stato della giustizia fosse quello che vivrà sulla sua pelle. Ripeteva spesso: “Ero liberale perché avevo studiato, sono radicale perché ho capito”».
L'autore Vittorio Pezzuto.
La condizione difficile dei detenuti e l’abuso della carcerazione preventiva, due cavalli di battaglia di Tortora, oggi sono tra le emergenze principali della giustizia italiana. È stato un profeta da questo punto di vista?
«Un profeta no, un leader politico sì. Purtroppo il caso Tortora non è un caso storico ma è attualissimo perché oggi nel nostro Paese ci sono 28mila detenuti dietro le sbarre in attesa di giudizio, continua il malcostume di alcuni giornalisti che sono il megafono delle Procure, facendosi partigiani di tesi accusatorie come successe allora, e perché, infine, ci sono magistrati che sbagliano sulla pelle dei cittadini ma continuano a fare carriera, basata esclusivamente sul criterio dell’anzianità, esattamente come i loro colleghi che svolgono bene e con scrupolo il proprio lavoro».
È successo anche con i giudici del caso Tortora?
«Purtroppo sì. Ad oggi nessuno dei pubblici ministeri e dei giudici dell’inchiesta e del processo è stato mai condannato a risarcire la famiglia Tortora. Tutti hanno continuato a fare carriera. Felice Di Persia è diventato procuratore capo della Repubblica di Nocera Inferiore e poi membro del Csm. E Francesco Cossiga, quando ne presiedeva i lavori, si rifiutava platealmente di stringergli la mano. Lucio Di Pietro, dopo essere stato procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia, ora è Procuratore generale della Repubblica di Salerno. Entrambi, all’indomani dell’arresto di Tortora, dichiararono alla stampa: “Non siamo pazzi, non vogliamo essere screditati a vita”. Non solo non sono stati screditati ma hanno fatto pure carriera! Senza dimenticare quel Diego Marmo che, nei panni di pubblico ministero nel processo di primo grado, urlò a uno dei difensori di Tortora: “Avvocato Coppola, lei deve moderare i termini! Le ricordo che il suo cliente è stato eletto con i voti della camorra. Voi non avete alcun rispetto della vita umana”».
L'attore e regista Ricky Tognazzi, che ha interpretato Enzo Tortora nella fiction di Raiuno (Ansa).
Nel film proprio uno dei legali di Tortora sembra concedere una sorta
di attenuante ai giudici. “Forse si sono sentivano in guerra contro la
camorra”, dice. È d’accordo?
«Un giudice quando fa il suo lavoro non deve sentirsi in guerra contro
nessuno ma proprio per la delicatezza del suo ruolo deve mantenere la
calma e attenersi ai fatti. Nella retata contro la nuova camorra
organizzata vennero arrestate, oltre a Tortora, circa 856 persone, un
centinaio delle quali erano colpevoli soltanto di avere lo stesso
cognome di presunti camorristi. E nonostante questo furono tenute in
carcere, senza neppure un indizio, per due anni e mezzo. Il maxi
processo che scaturì da quella indagine vide l’assoluzione di oltre due
terzi degli imputati».
Antonio Sanfrancesco